Domenica 8 Settembre 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

Paolo Pileri. Dalla parte del suolo: "Stiamo consumando il futuro. Con la terra, per salvare la Terra"

Professore di urbanistica, punta il dito contro la politica poco preparata e "terrapiattista" "Le energie rinnovabili non sono di per sé sostenibili. I Comitati difendono gli interessi ecologici".

Paolo Pileri. Dalla parte del suolo: "Stiamo consumando il futuro. Con la terra, per salvare la Terra"

In Italia nel 2023 sono stati consumati circa settemila ettari di suolo. Il 30% della biodiversità del pianeta Terra è nei primi 30 centimetri di suolo

Paolo Pileri è un professore di urbanistica – insegna al Politecnico di Milano – che si è messo dalla parte del suolo, come il titolo del suo nuovo libro (Dalla parte del suolo, Laterza), e ha scoperto che lo stiamo consumando a ritmi indiavolati, con incoscienza. Dice che bisogna entrare in sintonia con la terra, se vogliamo salvare la Terra, e cita il presidente Luigi Einaudi che nel 1951, di ritorno da una visita nel Polesine alluvionato, scrisse al presidente del consiglio Alcide De Gasperi, ricordandogli che "il problema massimo dell’Italia agricola è la difesa, la conservazione e la ricostruzione del suolo del nostro Paese contro la progressiva distruzione che la minaccia". Il presidente aggiungeva che "l’uomo di Stato deve guardare più lontano nello spazio e nel tempo. Deve guardare anche contro la volontà degli uomini viventi oggi".

Professor Pileri, qual è la salute reale del suolo in Italia?

"Stiamo assistendo all’omicidio del suolo, attraverso un’urbanizzazione che cresce a dismisura, senza controllo. L’anno scorso abbiamo consumato settemila ettari, 2,25 metri quadrati al secondo. Le agenzie ambientali europee ci dicono che il 60% dei suoli sta male: è inquinato, degradato, compattato da un’agricoltura industriale sbagliata. Ma non se ne parla".

Lei dice che il suolo è poco conosciuto e parla addirittura di terrapiattismo. Chi sono i terrapiattisti del suolo?

"Uso questa parola per spiegare che chi decide il destino dei suoli – urbanisti, funzionari, sindaci, governatori – agisce sulla base di mappe e carte in una logica bidimensionale, senza avere idea di che cosa sia il suolo, della sua complessità e profondità. Il mondo così diventa piatto. Il suolo è un corpo vivo che si forma nei secoli, ma può essere distrutto in un minuto con una colata d’asfalto o di cemento. Anche la Fao, in un suo rapporto, cita la drammatica ignoranza dei decisori politici rispetto al suolo".

È colpa dei Comuni che autorizzano il consumo di suolo per sanare i bilanci?

"I Comuni sono sotto pressione, vulnerabilissimi, e spesso scelgono di cedere al consumo di suolo per incassare da oneri e tassazioni varie. Ma i rapporti Ispra segnalano da tempo che un suolo cementificato non produce cibo, non contribuisce alla mitigazione degli eccessi climatici, non concorre alla biodiversità, alimenta la vulnerabilità idrogeologica generando quindi spese pubbliche invisibili, non contabilizzate, che Ispra però stima fra i 40 e gli 80mila euro all’anno per ettaro".

Le recenti alluvioni in Emilia-Romagna e Toscana hanno acceso qualche lampadina nei palazzi del potere?

"Zero, nessuna lampadina accesa, nessuna curiosità per le conoscenze sul suolo, nessun dibattito. Nel libro cito l’intervento che fece sui social network il presidente della Regione Toscana, all’indomani dell’alluvione, per chiedere ai cittadini un contributo allo sforzo economico nei soccorsi. Eugenio Giani mostrava una foto della piana fiorentina sommersa dall’acqua: in primo piano c’era il cantiere di un nuovo capannone della logistica, un recentissimo intervento di impermeabilizzazione del suolo. Questo è un buon esempio dell’assenza di una cultura ecologica nel mondo politico. C’è l’incapacità di concepire il suolo come un corpo che produce servizi ecologici; viene visto come una piattaforma da usare per capannoni, strade, agricoltura industriale".

Lei mette in discussione le scelte che si stanno facendo per le energie rinnovabili. Dovremmo rinunciare all’eolico e al solare?

"È un tema delicato che sta mandando in tilt l’ambientalismo italiano. Ha preso il sopravvento la fretta e così la frenesia di realizzare campi eolici e solari spinge a non andare troppo per il sottile, anestetizzando qualsiasi ragionamento sul reale impatto di questi impianti. Ma non tutto ciò che è rinnovabile è di per sé sostenibile e la fretta è la logica del consumismo".

C’è un’altra possibilità?

"Deve esserci. Esiste per esempio una direttiva europea, Red 3, non recepita dall’Italia, che indica l’utilizzo non di suoli sani e terreni agricoli, ma di aree dismesse, superfici abbandonate e inutilizzate. Servirebbe anche una lista molto precisa di tutti i tetti da coprire con pannelli solari. Bisognerebbe lavorare con l’intento di produrre energia da fonti rinnovali, proteggendo al tempo stesso i suoli, il paesaggio e nel rispetto delle comunità locali, che si trovano sempre a subire decisioni prese altrove. Si sta invece lavorando per favorire gli investitori finanziari e il loro desiderio di produrre energia minimizzando i costi e massimizzando i profitti. Segnalo che c’è anche un altro problema: abbiamo abdicato all’idea che la produzione di energia possa essere pubblica. Stiamo affidando tutto ai privati e non so quanto sia saggia questa scelta".

In Sardegna e altrove sulle rinnovabili stanno nascendo conflitti fra istituzioni e comitati di cittadini, che ne pensa?

"In questo momento, secondo me, le associazioni ambientaliste non riescono più a rappresentare il bene comune, anche perché troppo coinvolte nell’operazione-rinnovabili, e anche la cultura è assente. In questo quadro i comitati sono l’unica voce davvero vicina alle questioni ecologica. Ho incontrato comitati in Sardegna, in Salento, in Cilento, e anche in Romagna, in Toscana, nelle Marche, e devo dire che sulle rinnovabili, sul suolo, sui paesaggi ho incontrato persone preparate, per nulla contrarie alla transizione energetica, capaci di dialogare con la politica. Ma la politica non è altrettanto capace di ascoltare e fare appieno gli interessi pubblici ed ecologici. Tra le associazioni ambientaliste, va detto, Italia nostra è vicina ai comitati sardi. Mentre Legambiente, Wwf e Greenpeace hanno preso le distanze ufficialmente".

Lei cita anche “buone pratiche” di amministratori locali. Possono essere un punto di partenza?

"Cito due sindaci, Filippo Zangrandi di Candelasco, in provincia di Piacenza, e Matilde Casa di Lauriano, alle porte di Torino. Hanno difeso il suolo a dispetto di interessi economici fortissimi, dimostrando che è possibile resistere a certe pressioni. Zangrandi, coinvolgendo i cittadini, è riuscito dire no a un grosso insediamento nella logistica. Casa ha salvato da nuove urbanizzazioni quattro ettari di suolo vivo e vegeto. Sono due storie esemplari, due buone pratiche, ma nemmeno i loro partiti le hanno valorizzate. Dalle loro scelte non è partita una nuova prassi".

Che prospettive abbiamo davanti?

"Diciamo che anche ai livelli più alti della politica non si vede nessuno che abbia la lucidità e lo spessore di un Luigi Einaudi nel rappresentare gli interessi di chi non ha voce e di guardare con coraggio al futuro. Credo che sia il momento di compiere scelte forti, di contarci, di vedere chi sta dalla parte del suolo e chi no".