Firenze, 17 novembre – “La morte non è nulla. Non conta. Io me ne sono solo andato nella stanza accanto”. Sono le parole del teologo anglicano Henry Scott Holland (1847- 918), che da citazione sono diventate un cammino che porta all’Abbazia di San Miniato a Monte, dove quelle parole hanno trovato le mura di una stanza vera, la “Stanza accanto“, appunto. Un luogo dove ci si incontra non per negare il dolore, anzi, ma dove si impara ad affrontarlo. Anche quello straziante della morte di un figlio, se condiviso con altri genitori devastati dallo stesso lutto, e se c’è chi può aiutare a convertire la disperazione in rinascita, come riesce a fare padre Bernardo Gianni, abate del monastero. Da quell’ esperienza, iniziata molti anni fa, nasce ora un libro, “Più forte della morte è l’amore. Ricominciare a vivere dopo la perdita di un figlio” (Piemme), scritto a quattro mani dallo stesso padre Gianni e da Loredana Blasi, iniziatrice dell’esperienza della “Stanza accanto“, dopo la morte del figlio Tommaso, avvenuta in un incidente stradale.
Padre Bernardo Gianni, partiamo dal titolo del libro.
"Il titolo riprende un versetto della Bibbia, dal Cantico dei Cantici, dove si legge “forte come la morte e l’amore“. Noi invece abbiamo inteso affermare che l’amore è più forte della morte stessa». Quando è stata aperta la “Stanza accanto“? E cosa accade alle persone che si ritrovano lì insieme a lei? «Ormai sono più di quindici anni. E la “Stanza accanto“ possiamo dire che educa le persone a credere nelle relazioni, nella capacità di accogliere e condividere il dolore. Nel momento stesso in cui si ascolta l’autorevolezza di chi ha già passato un’esperienza come la perdita di un figlio, quella parola non sarà più una generica consolazione, se pur importante, ma una testimonianza che indica una strada di futuro, di rinascita. E Il figlio perduto è possibile riuscire a ritrovarlo in una dimensione di amore, memoria, speranza e possibilmente di fede”.
Come avvengono gli incontri?
"Generalmente una volta al mese, più qualche incontro e ritiro durante l’anno di una giornata intera in luoghi che ci aiutino a ritrovare un’atmosfera di pace, amore e d’ispirazione. E di solito sono innanzitutto aperti all’accoglienza di qualche nuova coppia o un singolo genitore invitati a raccontarci qualcosa del loro figlio o figlia”.
Quante persone sono passate da lì?
“Qualche centinaia. Ci sono quelli che magari sono venuti una volta e poi hanno preferito non venire più, altri che ritornano. Alla fine diventano una famiglia di famiglie, come dico io. Perché a monte c’è la percezione che l’assenza possa paradossalmente generale dei legami, addirittura suscitare un desiderio e quindi può rimette in cammino le persone. L’importante è instradare questo desiderio e arricchirlo d’amore”.
Tutto questo è nel libro?
"C'è tutto questo e c'è questa sorta di doppio intreccio: da una parte c'è Loredana che racconta la sua perdita e la sua reazione; e dall'altra c'è la storia di un'accoglienza e quindi la possibilità di leggere il libro anche come un piccolo trattato sulla speranza. Anche se alla “Stanza accanto” arrivano tante famiglie non solo da Firenze e dalla Toscana, con questo libro ci auguriamo di raggiungere chiunque".
Perché la scelta della scrittura a quattro mani?
"Mi piaceva che questa possibilità fosse condiva con una mamma, perché il mio è il punto di vista dell'accoglienza, della speranza, della fede e anche della custodia, mentre la madre ha l'autorevolezza dell'esperienza. E quindi ho ritenuto che fosse importante questa doppia narrazione".
Dov'è fisicamente la “Stanza accanto”?
"All'inizio era una piccola sala del monastero, adesso abbiamo talmente tante famiglie che ci dobbiamo incontrare niente meno che a Monte Oliveto di Firenze, nella collina davanti a San Miniato, perché non ci entriamo più. Mediamente ci sono sessanta-settanta genitori”.
Quando arrivano, subito dopo il lutto o dopo un po' di tempo?
"Dipende. Ci sono famiglie che arrivano subito e che poi non le rivediamo per un bel po', anche se poi ritornano. Ci sono coloro che invece arrivano dopo un certo tratto di strada, ci sono anche quelli che fin dall'inizio intuiscono che quella è la via per riprendere a vivere e non ci mollano più. Ci sono genitori che hanno i figli morti da vent'anni e che per loro l'appuntamento della Stanza accanto è un momento irrinunciabile di condivisione, che li aiuta a rinnovare le ragioni della speranza. Perché la speranza è qualcosa di estremamente friabile, che può attenuarsi, come la fede del resto. E anche l'amore. E allora la “Stanza accanto” è anche una specie di laboratorio dove queste dinamiche si corroborano tutte assieme. Ogni genitore è benvenuto e ci auguriamo di essere sempre sufficientemente ispirati per aiutarli”.