Lunedì 17 Marzo 2025
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

Operai, camerieri e altri scrittori in Festival

Torna a Campi Bisenzio la letteratura working class. I nuovi romanzi italiani sull’Ilva di Taranto e la lotta di classe nei ristoranti

Torna a Campi Bisenzio la letteratura working class. I nuovi romanzi italiani sull’Ilva di Taranto e la lotta di classe nei ristoranti

Torna a Campi Bisenzio la letteratura working class. I nuovi romanzi italiani sull’Ilva di Taranto e la lotta di classe nei ristoranti

È invisibile, negata, rimossa, considerata un’anticaglia, ma la classe operaia esiste ancora e (almeno un po’) lotta insieme o contro di noi, a seconda dei punti di vista. Pier Giorgio Ardeni, sociologo all’Università di Bologna, ha studiato a fondo le classi sociali, attraversando una selva di equivoci e false piste, arrivando a una conclusione che spiega almeno in parte l’oblio: "La working class esiste, eccome, ma non è più classe. L’ideologia della middle class ha vinto, sostituendo tutte le altre possibili contrapposizioni di classe, negandole, ma non eliminandole" (Le classi sociali oggi in Italia, Laterza 2024). Non è vero, dunque, che “siamo tutti classe media”, come vorrebbe la vulgata dominante, semmai ci sarebbe da ridefinire il concetto di classe operaia, includendo non solo chi lavora in fabbrica o nei campi ma anche i lavoratori precari e a basso reddito di numerosi altri comparti, compresi alcuni un tempo prestigiosi (nella cultura, nel giornalismo e nell’istruzione, per esempio). Un lavoraccio, ridefinire certi concetti, che riguarda l’immaginario, la percezione e il racconto di sé, e ovviamente la coscienza di classe, come direbbe il vecchio Carlo Marx, che distingueva fra classe in sé e classe per sé, cioè fra condizione oggettiva e consapevolezza.

Un lavoraccio tipicamente letterario, oltre che politico. E perciò non deve sorprendere che il Festival di letteratura working class, giunto alla terza edizione (dal 4 al 6 aprile a Campi Bisenzio), sia stato ideato e realizzato dal Collettivo di fabbrica ex Gkn, un tenace e creativo gruppo di operai in assemblea permanente da tre anni e mezzo, in collaborazione con una casa editrice, la cooperativa Alegre, che ha messo in piedi un’originale collana di letteratura working class, affidata a Alberto Prunetti, a sua volta “scrittore operaio”, con romanzi come Amianto, 108 metri e il recente Troncamacchioni.

Le ultime due proposte di Alegre offrono una buona rappresentazione delle tendenze in atto in questo speciale genere di narrativa, coi lavoratori che scrivono in prima persona e per una volta raccontano e si raccontano, senza essere raccontati. Malesangue, come spiega il sottotitolo, è la Storia di un operaio dell’Ilva di Taranto, una sorta di diario di lotta scritto da Raffaele Cataldi, uno dei protagonisti di quel tumultuoso movimento interno alla grande fabbrica pugliese che portò alla nascita del Comitato dei Lavoratori e Cittadini Liberi e Pensanti, un gruppo “dissidente” che tuttora contesta tanto la proprietà quanto il sindacato, nella convinzione che l’Ilva sia troppo inquinante per poter continuare a produrre l’acciaio e i veleni conseguenti. È il Comitato che ha dato vita all’Uno maggio a Taranto, il concertone alternativo a quello romano dei sindacati ufficiali.

Il lavoro, per Cataldi e gli altri del Comitato, non può essere contrapposto alla salute e quindi per gli operai e per l’intera città di Taranto vanno immaginate altre strade. Un’eresia e anche uno choc, all’origine di non pochi conflitti. Il diario di Cataldi è secco e impietoso, racconta la durezza del lavoro in fabbrica, i frequenti incidenti, le poche protezioni dagli agenti inquinanti, la progressiva scoperta delle malattie – un’enorme quantità di tumori – fra gli operai e fra i cittadini del quartiere Tamburi, il più vicino all’Ilva, fino all’esplosione della protesta, con l’Apecar, usato per la prima contestazione, subito divenuto simbolo della lotta.

Il posto all’Ilva, racconta Cataldi, dava sicurezza – stipendio garantito, mutui accessibili, prospettive buone – salvo scoprire nel tempo che "quella busta paga mi avrebbe in realtà garantito una vita di pane e veleno, tanto da farmi u malesang, il malesangue". Il libro di Cataldi, operaio ma anche tifoso del Taranto e calciatore (portiere) a sua volta, è uno spaccato di vita e di lotta che mostra la classe operaia anche nei suoi lati oscuri, come solo un racconto dall’interno può fare. È una vicenda, la sua, di solidarietà e di slanci collettivi, ma anche una storia di sconfitte e di solitudine. "Abbandonati dai sindacati e odiati da padroni", scrive Cataldi,"per anni siamo finiti per diventare esuli dentro alla fabbrica".

Tutt’altro stile – più letterario, più fantasioso, più scanzonato – troviamo in Risto Reich, un romanzo d’avventura nel movimentato mondo della ristorazione italiana nella città di Vienna, un viaggio compiuto da un insolito autore, Luigi Chiarella, cameriere per necessità, ma autore e promotore di teatro per vocazione. Capitolo dopo capitolo, Cataldi racconta con una certa leggerezza la vera vita dei camerieri – oppressi, sfruttati, sfibrati da condizioni e ritmi di lavoro che forse sfuggono ai più – e sono scene gustose, scritte con ironia, senza mai scendere nel patetico e anche senza cadere nell’autocommiserazione. Dentro ristoranti e pizzerie si vivono relazioni e scontri di potere al calor bianco, appena mistificati dalla necessità d’essere cortesi e ben disposti verso la clientela, con la conseguente aggiunta di sofferenza (e insofferenza) emotiva. Risto Reich è un romanzo di autentica letteratura working class, opera di un autore con buone letture alle spalle e un’evidente disinvoltura nel “tenere la penna in mano”; la classe operaia, come si diceva, comprende anche buona parte del ceto intellettuale e Risto Reich ne è una buona rappresentazione.

A Campi Bisenzio gli organizzatori del Festival, cercando un titolo, hanno scelto come di consueto uno slogan a effetto, misto di ambizione e di ironia, rivolgendosi con toni di sfida al mondo e anche – a ben vedere – a sé stessi: “Noi saremo tutto”.