Roma, 29 ottobre 2024 – In Italia c’è stato anche un 1993, non meno dirompente di quello che fu l’anno che l’aveva preceduto. L’inchiesta Mani Pulite era ormai entrata nel vivo e il sistema economico italiano (così come l’avevamo conosciuto, con la partecipazione significativa dello Stato) stava per eclissarsi, nel giro di poco sarebbe arrivata la stagione delle privatizzazioni. In questo contesto storico-sociale c’è la storia familiare ma anche imprenditoriale del gruppo Ferruzzi che prende una piega improvvisa, drammatica, perfino tragica. Carlo Sama, marito di Alessandra Ferruzzi, in passato braccio destro di Raul Gardini, ricostruisce in un libro di memorie (La caduta di un impero, Rizzoli editore) uno snodo cruciale della storia di un grande gruppo industriale del Paese.
Le date, innanzitutto. Dal 1979, l’anno della morte di Serafino Ferruzzi, al 1993, l’anno in cui Raul Gardini si uccide nella residenza di Palazzo Belgioioso a Milano, trascorrono esattamente quattordici anni. Gardini nel frattempo, dopo la morte del suocero Serafino (ha sposato la figlia Idina), diventa di fatto il leader del gruppo. Sama nella ricostruzione della crescita di Ferruzzi che arriverà ad acquisire anche Montedison fino all’operazione Enimont che sarà una ferita profonda, mai rimarginata (non solo per i conti), traccia la parabola di un gruppo industriale nato dall’ingegno di Serafino Ferruzzi che segnerà per sempre l’economia italiana. E allo stesso tempo, per aver vissuto fianco a fianco con Gardini, anche l’espansione dello stesso gruppo, non tralasciando anche i lati oscuri del cognato imprenditore.
C’è stima (ricambiata) nei confronti di Gardini, ma a un certo punto c’è uno spartiacque, non solo temporale, ma anche ambientale. Ed è l’acquisizione di Montedison. Sama ricorda nel suo libro come il quartier generale fissato a Ravenna, il centro da cui Serafino Ferruzzi prima e Gardini poi si erano mossi per rendere sempre più forte il gruppo, si sposti a Milano. Sama nel raccontare il primo giorno di Gardini a Foro Buonaparte (la sede di Montedison, all’epoca presieduta da Mario Schimberni), siamo nel 1987, rivela già di come si sta trasformando lo stesso Gardini, forse anche perché si rende conto che non ha la possibilità di incidere (come avrebbe voluto) in Montedison.
C’è un passaggio particolare e successivo nelle memorie di Sama – quando già si è entrati nella discussione della grande fusione Eni-Montedison, cui non dedica nel merito troppe pagine – che vale la pena leggere, ma anche approfondire: “Quante volte – scrive Sama – con Alessandra abbiamo ripensato a quell’ennesima occasione perduta di Raul. Se invece di infilarsi nel tunnel senza sbocco di Enimont e di volere fare il chimico a tutti i costi si fosse concentrato sulla vecchia Ferruzzi e su ciò che sapeva fare, forse il suo e i nostri destini sarebbero stati diversi”.
Il racconto che ne viene fuori – senza reticenze – è davvero molto complesso e in alcuni casi tormentato, perché agli affetti familiari, ai legami di parentela, s’intreccia anche il destino di un gruppo che si ritrova a un certo punto nell’occhio del ciclone. Non solo per le inchieste giudiziarie.
In alcuni passaggi Sama ricorda come una riappacificazione con Gardini (dopo il suo addio al gruppo) sia stata cercata da entrambi. E qui si arriva al 1993, quando Sama stava cercando di risanare il gruppo Ferruzzi-Montedison, confrontandosi con Mediobanca.
“In quel periodo – scrive – io e Raul ci eravamo già riavvicinati, con mio grande piacere, da qualche settimana. Ciò mi spinse ad attivarmi per ricompattare la Ferruzzi originaria. E con il supporto di Goldman Sachs fu predisposto un eccellente piano di ristrutturazione e consolidamento”. Purtroppo, le cose non andarono nella direzione sperata. Raccontare la storia d’Italia, compresi i suoi punti oscuri, passa anche per la lettura di libri di memorie come questi. Di chi visse in prima persona quegli anni. Per provare a gettare un po’ di luce su quell’amara e difficile stagione.