Sabato 27 Luglio 2024
GUIDO BANDERA
Libri

"Matteotti, l’Italia che non è stata". Così Mussolini cancellò il suo Nemico

A un secolo dal delitto, il libro di Breda e Caretti restituisce la ferocia del duce contro "un uomo limpido che amava la democrazia"

Giacomo Matteotti nell’ultima fotografia scattatagli prima della morte

Giacomo Matteotti nell’ultima fotografia scattatagli prima della morte

Roma, 23 febbraio 2024 – I passi di un uomo vestito di scuro risuonano sul lungotevere Arnaldo da Brescia. È il 10 giugno del 1924 e la stagione calda accarezza Roma. Un gruppo di ragazzini guarda curioso una limousine blu, elegante, ferma sulla strada quasi deserta. Il passante viene caricato a forza, lotta disperatamente e poi cede ai cinque individui che lo aggrediscono. Una lama affonda nel petto. A terra, vicino a un ponte, resta una tessera. È quella del deputato socialista Giacomo Matteotti. Ha 39 anni ed è l’avversario più pericoloso che Mussolini voleva cancellare per sempre, "che non doveva più circolare".

Da allora l’impegno del fascismo è quello di eseguire l’ordine: non solo l’omicidio, ma l’oblio. Perfino dei resti, trovati incompleti solo in pieno agosto nella macchia della Quartarella. Un odio definitivo, che porta ancora oggi a distruggere i fiori posti sul lungotevere in suo ricordo. A riannodare il filo sottile di una memoria che svanisce, un secolo dopo l’assassinio politico che segnò il punto di non ritorno dell’autoritarismo mussoliniano, è il libro di Marzio Breda, quirinalista del Corriere della Sera, scritto con il docente Stefano Caretti. Il Nemico di Mussolini, edito da Solferino, si apre con una puntuale descrizione dello scempio del martire della dittatura. Un racconto misurato, con lo scopo di "dare l’idea dell’accanimento subito da Matteotti", dice Breda. "In Italia ci sono 3.200 vie e piazze dedicate a lui, ma se chiediamo ai ragazzi fra i venti e i trent’anni forse uno su dieci saprà dirci chi fosse". È così che la vicenda del deputato che in Parlamento ebbe il coraggio di inchiodare il governo Mussolini alle responsabilità dei brogli che pesarono sulle elezioni del 1924, riemerge dalle pagine. "Era l’ossessione personale del duce, anche ricordarlo al cimitero era una colpa: vietati i fiori rossi, cerimonie solo alle 6.30 del mattino".

E per spiegare il motivo di quest’astio irriducibile serve il ritratto dell’uomo dei trent’anni precedenti. Matteotti borghese, agrario e ricco. Studioso di legge ma soprattutto di economia, convertito al socialismo, rigoroso nelle scelte, radicale nelle idee – non si sposò in Chiesa – e esigente con se stesso. Studi a Bologna, Oxford, contatti europei. Amministratore locale "che sapeva leggere i bilanci". Giacomo è un osso duro. "Ribattere punto su punto": la sua strategia di opposizione parlamentare chiarisce subito a Mussolini che la Camera sarà la tribuna quotidiana della denuncia dei soprusi. Quando viene ucciso, sono voci come quella di Marguerite Yourcenar e George Orwell, che si levano in sua difesa.

Il 1924 è l’anno peggiore per il duce, che nega di sapere dell’omicidio, ma sul suo tavolo ha i documenti del morto. Arrestati gli esecutori materiali, che si fanno prendere in modo maldestro dalla polizia di uno Stato ancora non del tutto imbrigliato, il problema è il mandante. Tutto porta a Mussolini. E si usa anche lo sfregio di allusioni volgari per compromettere la memoria della vittima, si inventano false piste. "Come quella della tangentopoli in camicia nera – ancora Breda –. La vicenda della Sinclair Oil e della corruzione in cambio di concessioni in Italia che Matteotti sarebbe stato in procinto di svelare. Una bugia, che serviva per diluire la portata di un delitto politico voluto dal capo del governo contro la voce più autorevole dell’opposizione". Nel volume che contiene anche documenti inediti, una precisa analisi della vicenda che ha conosciuto "una recente quanto ingiustificata fortuna".

Resta quel cadavere gettato di fretta in una tomba improvvisata, fra i boschi del principe Boncompagni, atto d’accusa implacabile per Mussolini. Che rischia seriamente di cadere. I giornali, l’opinione pubblica, la borghesia prendono le distanze. "Anche Luigi Albertini, liberale, direttore e in parte proprietario del Corriere, pur distante dalle idee di Matteotti ne stima la competenza". All’estero, Un anno di dominazione fascista, pamphlet tradotto in inglese firmato dal deputato socialista, squarcia il velo di simpatia di cui il duce gode. Mussolini alla fine ne esce vincitore. E si avvia verso la strada del totalitarismo. "L’opposizione è divisa – spiega l’autore del libro –. La sinistra stessa è spaccata in tre: comunisti, socialisti e riformisti turatiani. La scelta di abbandonare il Parlamento e ritirarsi sull’Aventino si rivela sbagliata. I partiti attendono che sia il re, Vittorio Emanuele III, a muoversi. E il sovrano attende da loro una soluzione per liberarsi di Mussolini". Non accadrà nulla. E sarà il capo del fascismo a riempire il vuoto. Strangolando le ultime libertà.

Di Matteotti, "poco amato in fondo anche da parte della sinistra, a partire dai comunisti, da Gramsci a Togliatti", resta un ricordo che si appanna. E che un secolo dopo il volume di Breda restituisce, oltre le lapidi delle strade. "La figura limpida di un uomo che amava la democrazia, capace di rappresentare il Paese che in fondo non siamo mai stati".