Domenica 16 Marzo 2025
Giorgia Messa
Libri

Mario Desiati: "Dai nostri antenati ereditiamo tutto, anche i traumi. Scrivere è un atto spirituale"

A tre anni dallo Strega vinto con “Spatriati“, lo scrittore pugliese torna con “Malbianco“ "È un libro per cui ho studiato molto. Mi ha aiutato a guardare meglio la realtà che vivo".

Lo scrittore Mario Desiati

Lo scrittore Mario Desiati

Roma, 16 marzo 2025 – "In anni di terapia, ho capito che la famiglia è la culla del trauma originario…" scrive Mario Desiati in Malbianco, uscito poche settimane fa per Einaudi. Dopo aver vinto il Premio Strega 2022 con Spatriati, l’autore pugliese torna in libreria con un romanzo, tanto intimo quanto universale, sulla necessità di cercare nel passato la chiave per conoscersi e “guarirsi”.

Il protagonista, Marco Petrovici, soffre di svenimenti. Dopo anni a Berlino, decide di ristabilirisi a Taranto, dai suoi genitori, per provare a ricostruire la trama confusa e lacunosa delle sue origini, convinto che lì risieda la causa del suo malessere: "Ci sono gli abbandoni e gli abusi, certo, ma esistono anche altre avversità più sottili che cambiano l’esistenza di un essere umano, per esempio quando un bambino scopre all’improvviso di vivere in un mondo ostile". Un ricordo d’infanzia sarà il punto di partenza: nel mercoledì delle ceneri del 1987, il prozio Pepin, rimasto muto dopo aver preso parte alla seconda guerra mondiale, viene visto cantare e suonare il violino sul ponte della città vecchia.

Cosa si nasconde dietro quella melodia? Perché quell’episodio rimase un tabù in casa Petrovici? Nel tentativo di dipanare la matassa, Marco dovrà fare i conti con con le resistenze e le omissioni dei suoi familiari: "Finirono per circuirmi, dicendomi che quell’incontro non era mai accaduto. Che era una mia fantasia, che era stato soltanto un sogno. Quella negazione fu un guaio, perché dentro di me seminò il dubbio.  Sono malato? Devo smettere di fidarmi di loro?" "Lingua dei miei avi/neve perenne: sono due versi di Biagia Marniti che esprimono l’esatta sensazione da cui sono partito – spiega Desiati – Percepire qualcosa di nascosto sotto un velo bianco, qualcosa di perfettamente conservato ma invisibile. È quello che ci hanno lasciato i nostri antenati; la lingua, gli usi, le tradizioni, le caratteristiche fisiche, psicologiche, a volte i traumi". 

In botanica, il ‘mal bianco’ si riferisce a un fungo che attacca le piante rivestendole di uno strato polveroso. Nel suo romanzo?

"È il nome da dare ai segreti di famiglia che ammalano, quelli che interrompono un processo di evoluzione ed espansione".

È un libro di grande intensità emotiva. Quanto le è costato scriverlo?

"Sono svuotato. È complicato anche parlarne. Sto iniziando soltanto ora a trovare un modo per non essere sopraffatto dall’afasia". 

Che cosa ne ha guadagnato invece?

"È un libro per cui ho studiato molto. Come tutti i percorsi di conoscenza che facciamo quando creiamo, mi ha aiutato a guardare meglio la realtà che vivo". 

Quanto è importante riconoscere e affermare le proprie fragilità, in un’epoca che ci vuole perfetti e competitivi?

"È alla base della letteratura riconoscere la propria ferita. Senza avere una crepa non si guarda oltre la superficie. Come insegnava Cesare Garboli, scrivere è situarsi in un punto nascosto del passato e far correre tutta quella vita che non è stata nostra".

Come si è evoluto, in lei, il rapporto tra letteratura e vita?

"Sono cresciuto con la fascinazione degli scrittori che partivano dalle loro esperienze personali. Penso al famoso invito che fece Ernest Hemingway al giovane aspirante autore: impiccati, così se sopravvivi avrai qualcosa da cui cominciare. Sono man mano finito ad amare il cechoviano scrivere delle caffettiere, il partire a mani vuote per poi riempirle. Ovviamente è una stupida generalizzazione, ma per dire quanto sia comunque saldo il rapporto tra vita e letteratura. Come diceva Enzo Siciliano: i romanzi nascono da desideri segreti che non tutto nella vita vissuta si perda. L’ispirazione viene anche dalle esperienza e dallo sguardo, ma resto sempre profondamente convinto che esista un elemento spirituale che innesca la scrittura".

E il rapporto tra letterarura e verità?

"Io credo a tutto quel che leggo, anche se è tutto falso".

C’è qualcosa di cui non riuscirebbe mai a scrivere?

"In questo momento, confesso che forse non riuscirei a scrivere neanche la lista della spesa. Essendo la scrittura una forma essenziale di organizzazione del pensiero, necessita di una certa dose di lucidità e la lucidità è fatta di calma e coscienza. Forse non sono lucidissimo ora. Certo scrivere non è come risolvere un’equazione, ma richiede una cura simile a quella che si ha per le piante".

Lei, che è anche un avido lettore, ha un rapporto privilegiato con la poesia, così come il protagonista del suo ultimo romanzo…

"Credo che la poesia sia un viaggio. C’è un bel libro di Aldo Nove, uscito in queste settimane per il Saggiatore, che racconta come la poesia non eleva ma inabissa. I poeti arrivano a un confine (della lingua, dell’animo umano), si spingono al limite e vedono più mondo di noi, ma devono racchiuderlo in poche, misurate, parole. In questo mistero c’è il senso di una speranza".

Qual è il mal bianco del nostro secolo secondo lei?

"La memoria smarrita. Dimenticare gli errori commessi nel passato ti condanna a riviverli".