Venerdì 17 Gennaio 2025
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

Luigi Spacal: l'artista triestino che unì il Carso e l'arte contro l'oppressione

Luigi Spacal, artista triestino di minoranza slovena, usò l'arte per esprimere libertà e radici, sfidando l'oppressione fascista. Il libro di Nicola Coccia ne ricostruisce la storia

Luigi Spacal, Senza titolo (1967). In alto I martiri di Basovizza (1944) dedicato agli antifascisti sloveni fucilati dal regime

Luigi Spacal, Senza titolo (1967). In alto I martiri di Basovizza (1944) dedicato agli antifascisti sloveni fucilati dal regime

Firenze, 10 dicembre 2024 – Luigi Spacal è stato un uomo che per rimanere sempre sé stesso cambiò continuamente, e lo fece con il desiderio di comunicare agli altri, anche alla gente del popolo, quello che di meglio veniva dalle novità dell’arte": Giulio Montenero, critico d’arte, direttore del Museo Revoltella di Trieste, sintetizzò così il percorso dell’artista triestino, di cui curò nel 1969 la mostra che ne consacrò il valore agli occhi dei concittadini, oltre che nel panorama artistico nazionale e internazionale.

Nato nel 1907, Lojze (Luigi) Spacal (pronuncia spazzal) apparteneva alla minoranza slovena di Trieste ed è stato perciò quasi invisibile ai triestini di lingua italiana, condividendo in questo la sorte dell’amico Boris Pahor, lo scrittore morto nel 2022 ultracentenario, i cui romanzi, tradotti da decenni in altre lingue, arrivarono al pubblico italiano solo nel 2008 (anno di uscita di Necropoli per Fazi), quando l’autore aveva ormai 95 anni.

Spacal, dunque, cambiò spesso stile espressivo, e anche forme e materiali, restando però fedele a sé stesso, al suo spirito di fratellanza umana, al suo Carso. Passando dal figurativo dei primi tempi, a un astrattismo fatto di segni grafici e colori, ma anche di tutte le tonalità del bianco, Spacal è sempre riuscito a restituire nella sua arte luoghi e motivi mai abbandonati – la morte, l’oppressione, la libertà, le radici, la vita degli umili.

Ha rappresentato episodi storici – come le fucilazioni degli antifascisti sloveni durante il Ventennio – e dedicato innumerevoli opere, di ogni foggia, al suo Carso. Spacal è stato modernissimo, anche nell’uso dei materiali, specialmente il legno, ma era anche legato alla tradizione e al peso della storia nella vita personale e collettiva.

Ebbe del resto un’esistenza avventurosa, che Nicola Coccia ha raccontato con meticolosa precisione in una biografia dal titolo chilometrico ma significativo: Vita del confinato Luigi Spacal che davanti alla morte diventò pittore (Edizioni Ets). Spacal era un antifascista di sentimenti socialisti e finì giovanissimo, come gran parte del ceto intellettuale sloveno a Trieste, nel vortice della repressione fascista, che al confine orientale arrivò al limite del "genocidio culturale", parole dello storico Elio Apih (Trieste, Laterza 1988).

Il fascismo perseguitò gli “slavi” (sloveni e croati) cittadini del Regno d’Italia con trasferimenti coatti e confino, chiudendo associazioni e scuole, arrivando perfino a proibire di parlare la lingua slovena in pubblico.

Nel 1930 all’indomani di un clamoroso attentato compiuto contro il quotidiano fascista Il popolo di Trieste dal gruppo partigiano Tigr (Trst, Istra, Gorica, Rijeka, in italiano Trieste, Istria, Gorizia, Fiume), Spacal fu arrestato ma gli inquirenti non trovarono prove di un suo coinvolgimento e fu quindi prosciolto, il che non gli risparmiò il confino coatto ad Accettura, poco lontano dalla Aliano di Carlo Levi.

In Basilicata il giovane confinato prese a lavorare come falegname nel laboratorio di Rocco Defina e lì un giorno arrivò un uomo che chiese, timidamente, una piccola bara per la figlioletta appena morta: voleva la soluzione più semplice, quattro assi inchiodate, per spendere poco. Spacal fu molto colpito dall’episodio: "Mi commosse profondamente – avrebbe poi raccontato – e lavorai fino a tardi per costruire la bara, la dipinsi tutta con fiori, angeli e non so che altro. Era ricca e bellissima. Nessun mio quadro è stato così apprezzato come quella cassettina. Questo è stato il mio inizio, la mia prima opera".

Spacal lasciò il confino nel 1932, ma le persecuzioni non finirono lì. Nel 1941 fu internato per 48 giorni del campo di concentramento di Corropoli, in Abruzzo, e nella Trieste occupata dai tedeschi, fra il ’43 e il ’45, visse in clandestinità (una volta l’amico scultore Marcello Mascherini lo salvò in extremis da sicuro arresto).

Nel frattempo era riuscito ad acquisire una formazione artistica, fra il liceo di Venezia e la scuola d’arte di Monza, e così nel dopoguerra il suo talento cominciò a sbocciare, con le prime mostre importanti, la partecipazione alla Biennale di Venezia e una crescente notorietà nazionale e internazionale.

A un certo punto Spacal prese casa a Trieste in piazza Venezia, proprio davanti a Palazzo Revoltella. "Aprendo le finestre di casa", scrive Coccia, "Spacal poteva vedere, anzi entrare, direttamente nelle sale del museo. Il figlio della lavandaia e dello spaccapietre cercava il riscatto. E la scelta di quella abitazione ne era la prova".

Le radici di Spacal erano nel Carso, terra di confine fra Italia e Slovenia. La casa di famiglia era a Kostanjevica (Castagnevizza), lui ne comprò un’altra poco lontano, a Škrbina (Scherbina), e vi insediò il proprio laboratorio: "Ho ripagato il mio debito verso il Carso, una terra arida ma che continua a darmi molto", spiegò, e forse proprio questo è il suo testamento, se pensiamo che tutta la vita di Spacal – tenuto sotto controllo poliziesco anche nel dopoguerra, per 43 anni in tutto, nota Coccia – fu segnata dalla sua appartenenza a una minoranza linguistica perseguitata e resa invisibile, e ciò nonostante lui, parole ancora di Giulio Montenero, "restò estraneo alla questione nazionale. Diceva d’essere stato costretto dalla madre a iscriversi alla scuola slovena. Si sentiva più a suo agio nel circolo socialista, che era frequentato sia da sloveni sia da italiani".

Il Carso, dunque, come confine che unisce, almeno nell’arte e nella vita di Spacal, invece di dividere.