Roma, 6 novembre 2024 – L’olivo bianco è un albero santo. Il suo olio, trasparente e non verde, non produce molto fumo e per questo è utilizzato fin dalla notte dei tempi per le funzioni religiose. Oggi è tenuto ai margini della produzione. Non performa, direbbero i più bravi. Perciò meglio tagliarlo e sostituirlo con cultivar più produttivi. Eppure la sua storia è unica. D’altronde c’è sempre un padre e c’è sempre un passato familiare nelle storie di Carmine Abate.
Quest’ultima, “L’olivo bianco” (Aboca), già in ristampa, ha al centro un grande albero e ha il pregio di recuperare, in pagine piccole e contornate di bianco, una nuova storia perduta. È quella di Luca, l’avo pazzo, anzi, ‘paccio’, del giovane Antonio, adolescente calabrese in cerca di risposte alla fine delle superiori. Da un lato c’è Elena, la dolce amata (ma dura e misteriosa) con cui vorrebbe girare il mondo. Dall’altro c’è la famiglia. Il padre, coltivatore e protettore dei boschi, la madre, cuoca sopraffina e donna coscienziosa, e poi nonna Sofia, a sulla soglia del secolo, unica detentrice della storia di quell’antenato.
Luca, la cui storia è alternata nel libro a quella di Antonio, aveva un sogno: raccogliere in tutta la Calabria ogni cultivar di olivo e crearne un uliveto multifoglie, multiodore e multicolore per avere in un solo posto tutti i sapori e i colori dell’olio della sua terra. Ci riuscirà, affrancandosi dal lavoro a giornata presso il marchese, in un terreno scosceso a cui nessuno avrebbe dato due lire. Ma il nemico di ieri, come quello di oggi è il fuoco. E non un fuoco qualunque, ma quello, becero, di mano umana. Così Luca e il padre di Antonio si ergeranno a difensori del bosco contro i piromani, e sarà questa in parte la loro fortuna, in parte la loro rovina. Tutto attorno, in questo romanzo bucolico e silvestre, ci sono i fiori, i frutti, i rami, gli alberi e le persone che ruotano attorno all’altopiano silano. E se pure “L’olivo bianco” è un libello che si legge con gusto in una manciata di giorni, il mondo che riesce a ricostruire è ampio, profondo e multiforme. D’altronde che Abate sia un mastro narratore, questo lo si sa da molto tempo.