C’è un ispettore e c’è anche un giornalista. Quest’ultimo però quasi subito rischia di uscire di scena: guida la sua auto, quando viene deliberatamente tamponato e finisce fuori strada. Passerà i suoi giorni in ospedale: prima in coma e poi in lieve ripresa. I due sono amici: arrivano da Taranto, la città dei due mari dove l’Ilva era la soluzione (occupazionale) ma anche la condanna. E loro sono scappati da lì per arrivare in Umbria. Tra Montone, Umbertide e Perugia Roberto Rossi – al suo debutto nel giallo – riesce a ordire un intreccio in cui la scia del sangue, almeno inizialmente è mal interpretata. Il primo a morire è un prete, don Bessa. Che si porta nella tomba tanti segreti e un passato tutt’altro che irreprensibile, scomodo per un uomo di chiesa. Vicino alla scena del crimine c’è una scritta rossa che rimanda invece alle Sacre Scritture.
Tocca all’ispettore Domenico Montemurro (con l’amico giornalista Santo Bianconi in ospedale) mettere in fila gli avvenimenti per provare a risolvere un puzzle avvincente, perché niente è come sembra. Non sembra – e un paio di elementi lo lasciano pensare – che in circolazione ci sia un angelo sterminatore, in grado anche di portare la dolce morte a chi non ha più speranze di vivere. La provincia con i suoi notabili, con una rete intricata di rapporti, mano a mano fa affiorare il rimosso (che non è poco, anche in una terra placida come l’Umbria). C’è spazio perfino per i biribini: chi erano? Tacciati di essere degli eretici, spuntano in questo giallo come un’ombra lunga. E trovare l’unica mano dietro ai delitti sarà un’impresa davvero difficile.
Matteo Massi