Lunedì 16 Settembre 2024
GIORGIA
Libri

"L’inconscio insegna: siamo il nostro desiderio"

Recalcati, ospite del FestivalFilosofia: "Bisogna perseguire con decisione la propria felicità, non quella imposta dall’idolatria del successo"

"L’inconscio insegna: siamo il nostro desiderio"

René Magritte: Le double secret, 1927. Nella foto in basso, Massimo Recalcati

Messa

L’inconscio come bussola per orientarsi nel mondo. In un’epoca in cui le cronache quotidiane sono macchiate da sangue, abusi e lotte di potere. In una società sempre più conformista e distante dai bisogni del singolo, che sembra andare verso il dominio delle macchine sull’uomo. Per combattere l’inevitabile senso di paura e smarrimento, Massimo Recalcati – in questi giorni tra gli ospiti del FestivalFilosofia di Modena – ci invita ad ascoltarci. Nella riedizione del suo libro Elogio dell’inconscio (Castelvecchi editore 2024), il noto psicanalista milanese sottolinea l’importanza di tornare in contatto con la nostra individualità profonda.

“Conosci te stesso” dicevano i greci…

"L’inconscio ci ricorda questo: quello che conta è la realizzazione del nostro desiderio più proprio e non l’assimilazione a modelli conformistici. Non esiste un concetto universale di felicità (solo nei regimi totalitari si prova a imporne uno). Ciascuno ha il suo. La nostra responsabilità consiste nel perseguire con decisione la realizzazione della nostra felicità e non quella stabilita dagli altri o dal discorso sociale dominante".

I social media e la comunicazione di massa in questo non aiutano. Spingono, soprattutto i giovani, all’emulazione con una costante ansia da prestazione.

"Oggi, il mito del successo individuale a tutti i costi è diventato per molti ragazzi un incubo. E questo successo deve essere rapido, non passare attraverso il lavoro e la fatica. Di qui, per esempio, l’idolatria giovanile verso coloro che esibiscono sfacciatamente le insegne del successo. Molto spesso, però, dietro questa idolatria c’è mancanza di sostanza, di desideri autentici, di vocazione…".

Proprio i giovani sono al centro di brutali episodi di cronaca nera; Sharon uccisa “a caso” da un passante; una famiglia sterminata da un diciassettenne. E poi femminicidi, faide, guerre spietate. Da dove arriva tutta questa violenza. È figlia della nostra epoca o è parte endemica della specie umana?

"La violenza nel mondo umano non è una semplice risposta istintuale. Non serve a procurarsi cibo o a difendere un territorio come accade nel mondo animale. Assomiglia piuttosto a una tentazione. Quale? Quella di raggiungere i propri obiettivi rapidamente, direttamente, senza la difficile e tortuosa mediazione della parola. La violenza sembra promettere una soluzione immediata dei conflitti. Ma è un’illusione. Come quando si cerca di piantare un chiodo storto: non c’è alcuna possibilità di riuscita. Più ci si accanisce più si fallisce".

Qual è la sfida più grande per la psicoanalisi, oggi?

"Difendere il desiderio, la sua singolarità, la sua forza creativa".

È questa forza creativa che impedirà il dominio della macchina sull’uomo?

"Il nuovo è una possibilità dell’umano. L’intelligenza artificiale può sommare infinite competenze ma non può introdurre il nuovo. E spesso il nuovo sorge dall’inciampo. Pensi alla mela che cade sulla testa di Newton secondo la leggenda popolare. L’intelligenza artificiale non conosce il nuovo perché non conosce l’inciampo. Accade, ad esempio, nella formazione di un laspus o, ancora meglio, di un sogno. Potrà mai l’intelligenza artificiale sognare? Potrà mai immaginare qualcosa che ancora non esiste?".

Lei su cosa sta lavorando?

"Ho terminato un lungo lavoro, durato più di dieci anni, sui rapporti tra Bibbia e psicoanalisi. Ora mi sto dedicando a una rilettura di Joyce e Beckett e alla problematica del rapporto di fratellanza e di sorellanza".