Firenze, 1 settembre 2024 – Benedetta Tobagi si sta affermando come una delle migliori ricercatrici e divulgatrici sulla complessa storia del terrorismo e dello stagismo nell’Italia contemporanea. Dopo l’esordio dedicato al padre Walter ucciso nel 1980 da una formazione del terrorismo rosso, ha collezionato una serie di documentatissimi volumi sulle stragi di Piazza della Loggia e Piazza Fontana, sui segreti di Stato e le inconfessabili manovre dei servizi di intelligence, ha anche vinto un Campiello con un bel libro dedicato alle donne nella Resistenza. Con “Le stragi sono tutte un mistero” (Laterza) conferma la sua vena di autrice capace di districarsi all’interno di vastissimi archivi, complicatissime vicende, sentenze contraddittorie, e di uscirne con le idee chiare. Il senso di quest’ultimo libro allude a un rovesciamento del significato letterale del titolo: le stragi, spiega Tobagi, non sono tutte un mistero, se si ha la pazienza di seguire il filo delle varie storie e uscire dalla giungla di slogan, frasi fatte, strumentalizzazioni che le circondano.
Più che di misteri, questa storia è fatta di depistaggi, occultamenti, tentativi di eversione compiuti anche dall’interno degli apparati dello Stato, e semmai è una storia di una grande confusione dovuta alla condotta poco limpida di politici e media, che hanno spesso coltivato il mito del mistero a dispetto dei risultati delle inchieste giudiziarie e della ricerca storica.
Prendiamo per esempio la nozione di “strage di Stato“, coniata negli ambienti anarchici al tempo di Piazza Fontana (con la defenestrazione di Pino Pinelli) e poi ripresa strumentalmente dalla destra per coprire la realtà, ossia, scrive Tobagi, "l’evidenza della matrice nera di tutte le stragi, nonché il fatto che i depistaggi sono sempre andati a vantaggio di gruppi di destra".
E che dire dei cosiddetti “servizi deviati“, altra nozione-mito? Deviati rispetto a cosa?, si chiede Tobagi. "Le condanne per azioni finalizzate a ostacolare le indagini hanno interessato generali e capi reparto: i depistaggi, insomma, sono stati condotti in modo sistematico ai massimi livelli della gerarchia, non da qualche “mela marcia“". È la dura, imbarazzante, ma ormai nota storia dello Stato italiano.