Sabato 29 Giugno 2024
COSTANZA CHIRDO
Libri

L’attualità di “Macchine come me” a 70 anni dalla morte di Turing

Nel romanzo di McEwan, il brillante matematico è ancora vivo negli anni ‘80 e ha creato le “macchine intelligenti” su cui oggi il dibattito è sempre più acceso

Copertina di "Macchine come me" di Ian McEwan, Einaudi 2019

Copertina di "Macchine come me" di Ian McEwan, Einaudi 2019

Londra, 27 giugno 2024 – “Abbiamo creato una macchina intelligente e consapevole e l’abbiamo gettata nel nostro mondo imperfetto. Ideata in base ai principi generali della ragione, ben disposta nei confronti dell’altro, una mente di questo tipo precipita ben presto dentro una bufera di contraddizioni”. Con queste parole, Alan Turing apre una lunga osservazione sulle macchine intelligenti e sul loro inserimento nella società. Siamo a Londra, è il 1982. Impossibile? In questa realtà, si. Alan Turing è morto settant’anni fa, l’8 giugno 1954 in circostanze tutt’ora ritenute “misteriose”. Il suo corpo fu trovato nella sua casa a Wilmslow, accanto a una mela mangiata a metà. Le analisi del tempo giunsero alla conclusione che la morte fosse avvenuta per avvelenamento da cianuro, assunto tramite la mela che però non fu mai analizzata.

In questa realtà, il matematico tra le menti più brillanti del XX secolo era stato condannato per omosessualità nel 1952, e costretto alla castrazione chimica attraverso assunzione di estrogeni – un’esperienza brutale, probabile causa del suo suicidio. Ma non nella realtà di Ian McEwan. In “Macchine come me” (Einaudi, 2019), nella Londra degli anni ‘80 i Beatles si sono appena ricostituiti, e nelle isole Falkland si assiste agli ultimi atti delle guerra contro l’Argentina che ha sconfitto l’Inghilterra. Turing è stato condannato per omosessualità, ma ha avuto la possibilità di scegliere tra la castrazione chimica e la prigione. Così ha potuto dedicare il suo anno di reclusione allo studio della logica informatica, del problema P e NP, del DNA, ponendo le basi per la creazione di “Adam” e “Eve”.  Nella realtà rivisitata dello scrittore britannico, nel 1982 sono già state create – e messe in vendita – le prime macchine intelligenti, venticinque prototipi dalle sembianze umane, dodici Adam e tredici Eve. 

In uno stile lucido, clinico a tratti, McEwan racconta la storia di Charlie Friend, trentaduenne che sopravvive comprando e vendendo azioni in borsa, e che decide di investire l’eredità della madre proprio in un Adam. La sua vita all’inizio non sembra cambiare molto, a parte per quella presenza in più nel suo appartamento che si occupa delle faccende domestiche mentre esplora con la mente tutte le informazioni a lui accessibili per comprendere la società. Fino a che Adam non conosce Miranda, la ragazza del piano di sopra con cui si frequenta Charlie e che lo ha aiutato a impostarne la personalità, e se ne innamora. Né Charlie né Miranda riescono a prendere sul serio la questione: Adam è una macchina, e una macchina non ha coscienza e non può provare emozioni.

Nella storia di McEwan il tema dell’intelligenza artificiale si intreccia a quello della letteratura, dell’etica e della natura umana. Adam compone poesie d’amore per Miranda, una quantità infinita di haiku che ha imparato a scrivere grazie al suo accesso a ogni archivio di dati. Ovvio che una macchina possa imparare a scrivere poesie, se ha accesso a tutte quelle scritte dall’essere umano. Ma Charlie inizia anche a domandarsi se non sia poi così diverso dal suo processo di apprendimento, o da quello di Miranda. Con il passare del tempo, Adam inizia a compiere scelte autonome, a partire da quella di non farsi più spegnere dall’interruttore d’emergenza collocato sulla sua nuca. Molte di queste scelte non piacciono a Charlie e a Miranda, e alcune iniziano a spaventarli. Ma mai quanto una notizia, comunicata a Charlie da Turing in persona: i prototipi di Adam e Eve in giro per il mondo hanno iniziato a sabotare i loro sistemi, fino a distruggerli. Si stanno suicidando, e neanche Turing ha spiegazioni al riguardo, se non una: il mondo degli esseri umani rende infelici le macchine intelligenti.

Se una macchina è in grado di prendere decisioni autonome, vuol dire che è in grado di pensare? Nel 1950, Turing – quello vero – scrisse un breve saggio al riguardo, illustrando la possibilità che le macchine, un giorno, potessero diventare così sofisticate da essere indistinguibili dall’essere umano. Da lì il famoso “test di Turing”. 

Il tema della coscienza delle macchine non è nuovo, nè in letteratura, nè nel campo della ricerca tecnologica e scientifica – anche se forse in questi ultimi anni se ne è sentito parlare di più. Gli sviluppi dell’intelligenza artificiale vanno più veloci che mai: ChatGPT ha superato il test di Turing nel 2023, è sempre più difficile distinguere contenuti AI-generated da contenuti autentici, e il dibattito sull’IA che “ruberà” i posti di lavoro alle persone continua a coinvolgere nuove voci da diversi settori lavorativi. Nel romanzo di McEwan, le ultime parole che Adam rivolge a Charlie riguardano una sua poesia: “Parla di macchine come me e persone come voi e del nostro futuro insieme… della tristezza a venire. Succederà. Col tempo, coi miglioramenti… vi supereremo… vi sopravviveremo… pur volendovi bene”.