Lunedì 15 Luglio 2024
SIMONA BALDELLI
Libri

L’amica genialissima: è il libro del secolo

La classifica del “New York Times“ ha messo al primo posto l’opera della Ferrante, scelta tra i cento migliori romanzi pubblicati dal 2000 a oggi

L’amica genialissima:  è il libro del secolo

L’amica genialissima: è il libro del secolo

Sono fra coloro, (ma credo siamo in tanti), a ritenere il New York Times una delle testate più autorevoli a livello internazionale. E dunque sono pronta ad accogliere con estremo interesse tutto ciò che pone alla mia attenzione. In questo senso, la notizia dei cento migliori romanzi pubblicati dal 2000 a oggi, che vede in testa Elena Ferrante con il suo L’amica geniale, mi interessa per molti motivi, e non solo per il mio lavoro di scrittrice. Ci siamo chiesti spesso, soprattutto in Italia, le ragioni di tanto successo, esploso specialmente fra i lettori. Con qualche resistenza, va detto, da parte della critica.

Invece il trionfo negli Stati Uniti è corale e universale.

Leggo che la classifica del quotidiano americano è stata stilata con il contributo di autori da togliere il fiato: Stephen King, Bonnie Garmus, Claudia Rankine, James Patterson, Karl Ove Knausgaard, Roxane Gay, Marlon James, Sarah MacLean solo per citare alcuni dei 503, fra intellettuali e personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura, che vi hanno contribuito.

Mi chiedo quale sarebbe stato il risultato se il sondaggio fosse stato fatto fra operatori culturali italiani. Sarebbe stato identico?

Siamo in piena estate, fa un caldo feroce, e molti di noi già sono sulle spiagge o sognano di starci. Mi si perdonerà, quindi, una piccola malizia da ombrellone.

No, non credo che Ferrante sarebbe risultata la prima. Vuoi per una certa esterofilia di cui, in qualche maniera, tutti siamo schiavi. Vuoi perché, anche in questi casi, ci piglia subito l’ansia da prestazione e temiamo di essere giudicati in base ai nostri gusti e dunque, per fare bella figura, ci spertichiamo in lodi di autori di nicchia (ma proprio ristrettissima), che conosciamo solo noi, i loro editori e pochissimi eletti fra i gruppi di lettura. Forse perché “nemo propheta in patria” e allora siamo pronti a vivere affinità elettive con poeti della Papuasia piuttosto che con scrittori che vivono nella nostra stessa città, persino nel nostro quartiere. Oppure, (ed ecco la malizia) perché il riconoscimento dato a qualcuno che scrive nella nostra stessa lingua ci fa pensare: perché lui sì e io no?

Che gli intellettuali statunitensi vivano questo tipo di rivalità e dunque abbiano messo al primo posto un’autrice italiana (di identità misteriosa, per di più) e che quindi non avrebbe sottratto la palma a nessuno di loro? Sono esseri umani, dopotutto.

Si dice che la traduzione in inglese di Ann Goldstein sia bellissima, alcuni giurano che sia addirittura migliore dell’originale, e questo è certamente un aspetto importante. Che negli States si sia molto apprezzata l’esplorazione di Ferrante dell’animo femminile. Altri dicono che il mistero dell’identità sia un valore aggiunto. Certamente ha contribuito la serie televisiva tratta dalle vicende di Lenù e Lila.

Però. Però giriamo attorno a tanti fatti senza accettarne uno semplice: le storie che Ferrante racconta sono belle, scritte con un linguaggio semplice ma non semplificato. Entrano in confidenza col lettore. Si chiudono con uno spiraglio di apertura che è un arrivederci, una promessa di ritorno.

Credo che il bisogno di storie sia uno degli aspetti principali della nostra umanità, l’unico che ci distingue e distinguerà sempre dalle macchine. L’AI sarà presto in grado di inventarle, ma non di vivere il rapimento dell’ascolto: quella è una nostra prerogativa, nata la prima volta in cui un pugno di cavernicoli si raccolse attorno al fuoco appena scoperto.

"Ora però riceveva ben di meglio, di più esaltante assai delle risate: i sorrisi. Sorrisi di gratitudine? No, sorrisi di riconoscenza. Lo avevano accettato di nuovo come essere umano" scrive Henry Miller nel suo toccante Il sorriso ai piedi della scala, in cui il geniale e disperato clown Augusto cerca ogni sera il significato ultimo del suo lavoro e dello stare al mondo. Dispensare sorrisi.

I libri di Ferrante si leggono così: sorridendo.