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Beppe Severgnini, 68 anni, e la copertina del suo nuovo libro sull’arte di invecchiare con filosofia
Cicerone scrisse De Senectute, quando aveva 62 anni. Non sapeva quanta vita avesse ancora davanti a sé (sarebbe stato ucciso un anno dopo) ma sentenziò: "C’è qualcosa di più assurdo che caricarsi di provviste quando resta meno strada da fare?".
Beppe Severgnini prende in prestito proprio la frase di Cicerone per ragionare non tanto (e non solo) sul tempo andato, ma sulla stagione più matura – quella che fin troppo convenzionalmente si definisce terza età (dai 65 ai 74 anni) – che diventa l’occasione per riflettere e ragionare sulle coordinate della propria vita. E anche di chi ci sta accanto. Da qui il titolo del suo ultimo libro: Socrate, Agata e il futuro (edito da Rizzoli; oggi la presentazione alle 21 al Bper Forum di Modena). Socrate è un busto, diventato soprammobile ora, ma anche una madeleine nel senso più diretto ed evocativo della definizione proustiana. Agata è sua nipote. E gli occhi, le reazioni e i comportamenti di Agata sono un modo diverso, più diretto (anche in questo caso) di vedere il mondo. E il futuro è il futuro.
Così il bagaglio per partire per questo viaggio è essenziale, perché punta al sodo. È ricco di citazioni e quella presa dall’ultimo film di Paolo Sorrentino, Parthenope, è quanto mai indicata. E probabilmente indicativa. Severgnini sceglie il professor Marotta. "La cosa più difficile – dice l’insegnante di antropologia – è imparare a vedere". Vedere appunto, non guardare. La cura delle parole è fondamentale, come ricorda l’autore: non solo per il suo lavoro, ma anche per raccontarsi, raccontare e comprendere.
"Nei testi di Franco Battiato – scrive Severgnini – ci sono diciottomila parole e nessuna è inutile". Per esempio: ti proteggerò dalle paure e dalle iponcondrie, dai fallimenti che incontrerai per la tua via. Battiato con La cura riesce come con E ti vengo a cercare a riempire di significati una canzone che potrebbe essere (e per molti lo è) una canzone d’amore, ma è anche molto altro. Tende all’Assoluto. E allora ci si chiede perché i giovani di adesso siano così poco interessati alla poesia contemporanea. Un tempo bastava aggrapparsi a una canzone, a un verso magari in inglese (utile, come ricorda l’autore, anche per imparare la lingua) e imprimerlo, nella generazione successiva a quella di Severgnini, in un diario (una traboccante Smemoranda, piccolo misticismo degli anni ’90, Generazione X). Ma quei ricordi registrati con una calligrafia febbrile, decisa o stentata, in stampatello o in corsivo, sono pronti sempre a spuntare fuori, anche a distanza di anni. E a sorprendere.
Quello che l’autore si augura possa succedere anche a sua nipote Agata. Magari di fronte a quel busto di Socrate con un palloncino in testa. Invecchiare con filosofia, come si augura il sottotitolo del libro, è in fondo anche sinonimo del piacere che si prova quando si elogia un buon vino per l’invecchiamento. Oltre la semplice metafora.
Matteo Massi