Giovedì 26 Settembre 2024

La scatola onirica sospesa tra Leopardi e la ricerca dell’Io

Cucchi sceglie la casa come punto d’osservazione sulla modernità

La scatola onirica sospesa tra Leopardi e la ricerca dell’Io

Cucchi sceglie la casa come punto d’osservazione sulla modernità

Un milanese che pensa. Potrebbe sembrare riduttiva tale sigla per questo libro ennesimo di Maurizio Cucchi, poeta e letterato di lungo corso. E però forse è la migliore, la più sintetica per un libro composto, arrovellato, e pur aereo, che mette in scena – con varietà di quadri – lo strenuo tentativo di individuare il segreto dell’io e del suo stare al mondo. E lo fa come sempre da una metropoli – scegliendone una strana periferia, il borgo Casa Cucchi – che porta i segni di una condizione occidentale, di una modernità esplosa e frantumata, essendo frantumato l’io, il punto di vista. Un io disperso; per riprendere un titolo d’esordio di Cucchi. Quel titolo è spesso interpretato solo come sparizione di un certo soggetto prossimo allo scrittore ma a ben vedere era già segno di una dispersione dell’io. Qui arriva una sorta di risposta, a distanza, al grido che dal 1830, indica la crisi della modernità, ovvero quel “E io che sono?“ alzato dal pastore errante leopardiano alla luna.

Una scatola onirica parrebbe dunque la risposta del meditabondo milanese, una scatola che raccoglie la continua dispersione in frammenti della persona e dei suoi acquisti provvisori, mentali o sensibili che siano. Per Cucchi è scatola onirica sia l’io del poeta che il testo di una poesia. È attento sempre alla materialità del vivente e della lingua (la scatola) e alla compresenza di barbagli di memoria, fughe della mente, sovrimpressioni, antecedenze biografiche o linguistiche remote e mitiche, a metà tra mappe e sogno, appunto. I segni della metropoli/storia sono più sfocati rispetto a recenti libri dello stesso autore che qui pare concentrare – sulle orme del suo maestro Sereni, e dell’omaggiato Raboni – la riflessione sulla posizione che tale io milanese meditabondo ritiene plausibile nella vita, alla fine della fiera. Cucchi attracca la sua nave di parole pensose da molte rotte e in molti porti. Una poesia di pensieri più che di desideri, di dialoghi con se stesso mediato da figure – sia l’amico ossesso delle parole o Rutebeuf tradotto o siano le opere d’arte a cui è dedicata una intera sezione. Cerca momenti di pace, il pensoso milanese, e li trova pare in una aurea mediocritas di oraziana memoria, che diviene pomeriggio svagato sul marciapiede, uno stato mentale sovrano ma senza orgoglio, come pure senza disperazione e senza preghiera, o forse queste trattenendo.

Davide Rondoni