Bologna, 26 gennaio 2025 – C’è un aneddoto che Giuseppe Ayala racconta su Rocco Chinnici. Un aneddoto che meglio di tante pagine definisce chi era il capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, l’inventore del pool antimafia. Un magistrato che sapeva giocare d’anticipo, che aveva una visione e che lo scorso 19 gennaio avrebbe compiuto 100 anni. Non si può, purtroppo, parlare di secolo di Chinnici, perché il 29 luglio 1983, in via Pipitone, il magistrato morì in un attentato mafioso. Molti giornali all’epoca titolarono Palermo come Beirut. La geometrica potenza militare e stragista di Cosa Nostra, in cui i corleonesi avevano preso il potere dopo la guerra di mafia che avrebbe portato alla triste e pesante conta di vittime (mille in pochi anni), veniva allo scoperto.
Tornando all’aneddoto di Ayala, ricordato da lui stesso in questo libro scritto da Alessandro, nipote di Chinnici, e da Riccardo Tessarini, dal titolo L’Italia di Rocco Chinnici (Minerva edizioni): Ayala è un giovane sostituto procuratore (sosterrà poi l’accusa nel maxiprocesso), una sera riceve una telefonata proprio da Chinnici che si complimenta con lui per il rigoroso lavoro d’inchiesta fatto e gli dà appuntamento al giorno successivo. Va detto che Chinnici era di una puntualità spaventosa, per la quale forse anche l’aggettivo svizzero risulta riduttivo. Ayala si presenta nell’ufficio di Chinnici in orario, ma non lo trova. Poi ha udienza e all’ora di pranzo torna dal capo dell’Ufficio Istruzione. E riceve anche le scuse di Chinnici: "Mi dispiace, ma mi ero dimenticato che questa mattina dovevo andare a seminare".
Seminare? Quel verbo viene chiarito in un baleno: era andato a incontrare gli studenti di un liceo di Palermo. Per lui quello significava seminare. E forse, anzi sicuramente termine più bello non c’è per far poi germogliare una cultura antimafia. In quegli anni pronunciare la parola mafia era praticamente proibito. Chinnici la pronunciava invece, raddoppiando la f (maffia), così come si faceva nell’Ottocento. Anche per dimostrare che la mafia non era un’invenzione. C’era, esisteva e andava combattuta anche la sua cultura invasiva, il suo allungarsi per permeare le città attraverso il traffico di droga e gli affari.
Chinnici nel giro di appena tre anni fu la quarta vittima eccellente: la scia di sangue iniziò con Piersanti Mattarella (1980), proseguì con Pio La Torre, cui si deve la prima legislazione forte e autorevole contro Cosa Nostra, e Carlo Alberto Dalla Chiesa (1982). Ecco perché a cento anni dalla nascita di Chinnici, è necessario ricordare la sua figura non solo di magistrato, ma di modello per le generazioni a venire.