Domenica 4 Agosto 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

Janek Gorczyca. Storia di uno scrittore di strada: "Casa è il letto dove dormo. Il mio è un libro sull’amore"

Lavoratore polacco senza fissa dimora, autore di un romanzo-diario dai margini di Roma "Ho scritto per ricordare Marta, la mia defunta compagna. Era un amore vero, mi manca tanto"

Janek Gorczyca

Janek Gorczyca

Roma, 4 agosto 2024 – Roma vista da dentro e da sotto; una lingua “nuova”, imperfetta e quindi vera; un racconto d’amore e anche di violenza; una visione antiromantica della vita di strada: ”Storia di mia vita” di Janek Gorczyca è meno di un romanzo, perché narra una storia vera, ma è più di un romanzo, per le peripezie che racconta e per la forza d’animo che lo ha reso possibile.

Lavoratore polacco da trent’anni a Roma, Gorczyca è descritto come un senza tetto, uno che vive in occupazioni peggio che precarie, e ci si immagina un emarginato, un uomo escluso da tutto, ma è più giusto dire che siamo di fronte a un irregolare, una persona che ha una visione tutta sua della vita, del lavoro, della casa e che ha scoperto per caso d’essere uno scrittore. Lo ha scoperto grazie a un suo amico ormai di vecchia data, Christian Raimo, a sua volta scrittore, editor, attivista, incontrato per le vie di una periferia romana (Raimo è stato assessore in uno dei municipi della capitale). Quando Janek si è messo a scrivere, Raimo si è accorto che ne era uscito un diario davvero speciale e ora “Storia di mia vita” ha in copertina una poltrona in fiamme, sul frontespizio rigorosamente blu della collana “Il contesto” di Sellerio.

Janek, come ha scritto il libro?

Risponde sorridente alla videochiamata dal cantiere in cui lavora: "A mano, tutto su quaderno. Era anche un momento un po’ particolare per me, l’ho dedicato alla mia defunta compagna, Marta. Poi Christian ha trascritto al computer".

Come è nata l’idea del libro?

"L’idea è nata parlando con Christian, che è un mio carissimo amico. Lui mi ha detto: hai letto tanti libri, perché non ne scrivi tu uno? Io ho detto: va bene, ci provo. Ho cominciato ed è andata così... Praticamente ho raccontato la mia vita, altro obiettivo non ce l’avevo. Semmai volevo ricordare Marta".

A quali libri pensava come ispirazione?

"Questo libro l’ho scritto praticamente da solo. In Polonia ho studiato fino alle scuole superiori. Ho letto Tolstoj, Dostoevskji, Balzac, per dire quelli più famosi. Ma non avevo ispirazioni"

A un certo punto lei si descrive come “il capitano di una barca“. Di quale barca?

"La barca era la torre che occupavamo. Io tante volte dovevo decidere anche per altri, perché ero l’unico che parlava italiano e aveva relazioni in Comune e con la polizia. Quando facevano controlli, si rivolgevano sempre a me. In questo senso ero il capitano".

Che cos’è casa per lei?

"La casa è un letto dove dormo. Adesso, per esempio, sto in affidamento in prova ai servizi sociali a Monte Celio, con altre due persone. Ma ora ho scelto un’altra soluzione, e tramite i servizi sociali me ne vado in una stanza in un dormitorio. Ma tante volte dormo anche da Christian..."

Un’idea di casa molto diversa dalla norma...

"Molto diversa, ma molto probabilmente, adesso che mi arriva la pensione, affitto una casa da qualche parte. Cercherò di trovarmi una compagna perché alla fine stare da solo non è che mi va… Ma è complicato. Non volevo affezionarmi a nessuno, perché io mi preoccupo della persona che è con me, per me una compagna non è un giocattolo. Vedremo".

Si può dire che “Storia di mia vita” è un libro sull’amore?

"Si può dire, perché era un amore vero verso Marta. Mi manca tanto".

La vita di strada può essere violenta, molto dura.

"Per me non è stata dura, perché io avevo lavoro, la gente mi conosceva e allora non ho sentito quella specie di abbandono, come sentono altri. La mattina mi alzavo, e anche Marta con me, e andavamo a lavorare. Dormivamo a volte anche per strada, ci bastava un pezzo di coperta. Ma con tutte comodità. Perché per esempio avevamo a due passi Lo zio di America, che è aperto tutta la notte, col bar e tutto quanto. E lì si andava nel bagno. Poi la doccia la facevo nel posto dove lavoravo. Sì, dormivo per strada, ma cenavo alla tavola calda e avevo tutto".

Com’è la vita di strada a Roma? Ci sono aiuti, supporti?

"Ci sono supporti. Ci stanno le mense e tutto quanto. Io lavoravo, ma per altri che sono per strada, chiedono elemosina, per loro è male, è più dura. Questo comporta, nella mia osservazione e non solo mia, che poi c’è l’alcolismo e cose così".

Anche lei ha avuto esperienze di alcolismo.

"Io bevo anche adesso, ma una birra, due birre al giorno, giusto per piacere. Non è che vado a ubriacarmi. Questo è un mio stile di vita, non è una malattia. Io ho fatto delle cure, ma servivano per altri motivi".

Perché è venuto in Italia?

"Non c’era un motivo. Stavo andando in Finlandia, perché era andato male il matrimonio con una russa, allora avevo deciso di lasciare Polonia, avendo casa e tutto quanto. Con un amico mio ci siamo fermati in un paese prima di Varsavia, e lì ci hanno raccontato che in Italia c’erano lavori stagionali, che si sta bene, e alla fine siamo andati in Jugoslavia, abbiamo preso biglietti per il pullman e siamo arrivati a Roma. È stato così, una cosa avventurosa, e alla fine sono rimasto finora".

Che idea aveva dell’Italia?

"Siccome ho letto sempre molto, ho letto anche l’impero romano, Spartaco, Giulio Cesare, Caligola, ero appassionato di mitologia romana, e anche greca, e praticamente mi sono trovato in Italia con tutta naturalità. Ho trovato subito lavoro come saldatore e lì stavo insieme a italiani, ero unico straniero, allora per forza ho imparato la lingua".

Scriverà ancora?

"Ho scritto un racconto. Un racconto breve, qualcosa come la ‘Mia vita come outsider’. Ma lo sa meglio Christian, ho lasciato tutto a lui".