Domenica 13 Ottobre 2024
MATTEO MASSI
Libri

Ilaria Tuti: "Da personale a collettiva: il cuore dei miei libri è la memoria che diventa Storia"

Nel nuovo romanzo “Risplendo non brucio“ un enigma da sciogliere per raccontare il grande Male. Il padre a Dachau, la figlia nella Risiera di San Sabba. E la violenza e la meschinità di una tragedia senza fine.

La scultura in bronzo I Martiri di Marcello Mascherini nella Sala delle Commemorazioni della Risiera di San Sabba, a Trieste

La scultura in bronzo I Martiri di Marcello Mascherini nella Sala delle Commemorazioni della Risiera di San Sabba, a Trieste

Roma, 13 ottobre 2024 – Quanto coraggio ci vuole per arrivare alla verità? Le storie parallele di Johann Maria Adami e di Ada, sua figlia, danno forma a questa domanda nell’ultimo libro di Ilaria Tuti Risplendo non brucio. Johann ha studiato da scienziato il Male, in tutte le sue devianze, e ora è a Dachau, perché è un oppositore del regime nazista. Ada rimprovera a suo padre di non aver nascosto le proprie idee, per salvaguardare invece la famiglia. Siamo poco dopo l’armistizio. Tra Kransberg, nel castello a due passi dal bunker di Hitler dove Johann è stato portato dal suo ex studente Veil entrato poi nelle SS per indagare su un apparente suicidio e Trieste, dove Ada fa il medico e nasconde un segreto.

Partiamo da Johann. Lei scrive: "Ormai riusciva a contare anche le vertebre". Si entra fisicamente nell’orrore del lager.

"Il rischio era di insistere su immagini che appartengono un po’ al patrimonio di tutti. Ma ho cercato a proposito delle immagini di legarle al corpo dei protagonisti. All’esperienza fisica della guerra, alla guerra vista dal basso, dalle macerie e da chi ha dovuto superarla. E quindi il cambiamento fisico che riflette anche quello interiore. Per attraversare quella guerra Johann ha dovuto cedere tantissimo di sé, della propria integrità. A lui viene chiesto molte volte e se lo chiede anche lui: “che cosa sono stato capace di fare pur di sopravvivere“. E questo spunto io l’ho trovato in Primo Levi".

Levi scriveva "accade facilmente a chi ha perso tutto, di perdere se stesso".

"Avendo vissuto quell’esperienza Levi sarebbe stato il primo che avrebbe potuto dare un giudizio verso gli altri e invece rifletteva sempre su se stesso. A un certo punto l’ha scritto anche: da quei campi di concentramento non sono usciti i martiri o i santi, ma chi è stato capace di sopravvivere, lasciando intendere che cosa si è stati costretti a fare".

Ada invece, la troviamo dentro alla Risiera di San Sabba, con il frustino di un ufficiale delle SS che sta per colpire le sue calze. È sola con un padre che non sa che fine ha fatto, orfana di madre, con un fratello che si è ucciso, un marito che forse è in Jugoslavia e un segreto inconfessabile. Ciò nonostante è impavida. Ha il coraggio di entrare e di guardare dove nessuno vorrebbe guardare, perché a Trieste non osano nemmeno pensare che cosa accada nella Risiera.

"La figlia non sa se il padre è ancora vivo e viceversa. Nonostante tutto il rapporto tra i due resta conflittuale. Lei vorrebbe che suo padre ci fosse, ma lui per seguire i suoi valori non solo ha rinunciato alla sua libertà, ma ha anche disintegrato una famiglia. E se il coraggio di Johann è proprio quello dei martiri, perché sa consapevolmente dove lo porterà. Il coraggio di lei è più comune, è il coraggio dei piccoli passi".

Entrambi si ritrovano poi a indagare, con tutte le conseguenze del caso: lui sulla strana morte di un ufficiale delle SS, lei sulle aggressioni e in due casi di due omicidi di giovani prostitute a ridosso della Risiera. Dal punto di vista del genere narrativo - che lei conosce molto bene - il giallo torna un po’ anche in questo libro.

"Ho usato il meccanismo dell’enigma da sciogliere, del giallo, per parlare poi del grande Male. Ci sono tante testimonianze, tanti libri che raccontano quel grande Male, non c’è bisogno di un romanzo. Scrivere un romanzo ottant’anni dopo su quel grande Male può essere invece il modo per raccontare le piccole meschinità, le piccole violenze che avvenivano in quel periodo e in quel contesto. Da qui nasce questo libro".

Anche in questo libro punta molto sul racconto della sua terra: il Friuli Venezia Giulia. Questa volta racconta Trieste che subito dopo l’armistizio è una città in cui non è semplice sapere dove mettere i piedi. Ci sono i nazisti, i fascisti della Guardia Civica che non hanno aderito alla Repubblica di Salò, la Resistenza italiana e i partigiani jugoslavi (al confine e non solo).

"Trieste è stato un territorio anche dopo diversi anni dalla fine della guerra, in cui si è discusso dove tracciare i confini. Per dieci anni la città ha avuto un governo alleato: inglesi e americani. Diciamo che era una polveriera e infatti tutto il Friuli Venezia Giulia è stato militarizzato con le caserme, soprattutto post guerra".

C’è un filo rosso che lega questo suo romanzo ai precedenti e perfino al personaggio di Teresa Battaglia, la profiler affetta da Alzheimer. Un filo rosso che è poi una parola: memoria. Che cos’è per lei la memoria?

"È il tema fondamentale della mia scrittura. Mi interessa il percorso della memoria, ossia la memoria personale che può diventare collettiva di una comunità. Certe memorie collettive di piccole comunità hanno la dignità di grande memoria storica, se vengono conservate e tutelate. Penso a esempio alle portatrici carniche. E sono fatti che se venissero raccontati credo che aiuterebbero le giovani generazioni ad appassionarsi alla storia del nostro Paese".