È un romanzo, ma è anche la storia vera della strage di Sant’Anna di Stazzema. La montagna di fuoco di Margherita Lollini (Minerva) prende le mosse da un diario scritto da Angelo Pieri, rimasto per decenni chiuso in un comò. Angelo non era a Sant’Anna il 12 agosto 1944, ma nel suo paese natale perse la moglie Laura e i due figli Marisa e Roberto, di 35, 12 e 5 anni; perse anche la madre e una sorella, si salvò solo il padre. Angelo visse il resto della vita con un dolore profondo, inestinguibile. A guerra finita, dopo qualche tempo si risposò con Natalina, sopravvissuta alla strage, ed ebbe una figlia, di nome anche lei Marisa, ma il babbo la chiamava “la bimba”, come se non riuscisse a ripetere il nome della figlia perduta. È proprio questa Marisa a trovare il diario, alla morte del padre; leggendolo, comprenderà fino in fondo perché la tristezza attanagliò per tutta la vita il genitore. La strage di Sant’Anna di Stazzema, come tutte le stragi e come tutte le guerre, è una tragedia umana, un fatto militare che continua a colpire e devastare le persone nel tempo e attraverso le generazioni.
Margherita Lollini, com’è nato questo libro?
"Incontrai Marisa Pieri a Monzuno, a un evento che aveva come protagonista Ferruccio Laffi, uno dei sopravvissuti alla strage di Monte Sole-Marzabotto. Lei raccontò la sua difficile infanzia a Sant’Anna di Stazzema da figlia di sopravvissuti alla strage, io le inviai il libro che avevo scritto su Ferruccio, che era suo grande amico: Io, sopravissuto di Marzabotto (Longanesi). Poi andai a trovarla a Pietrasanta e salimmo insieme a Sant’Anna. Per me era la prima volta. Alla fine mi affidò il diario del padre".
Che impressione le fece Sant’Anna rispetto a Monte Sole?
"A Monte Sole, che oggi è una zona pressoché disabitata, la natura ha sublimato le atrocità commesse: l’uomo lì ha portato il male, la natura ha svolto un’azione contraria, ha portato bellezza, come può cogliere chiunque salga a Monte Sole e infatti tanti vanno lì a passeggiare, a correre, a fare picnic. A Sant’Anna invece percepisci il vuoto, è un luogo spettrale, fermo nel tempo. Nel racconto di Ferruccio Laffi su Monte Sole, pur nell’atrocità del fatto, c’era un’apertura; lui aveva costruito qualcosa sul suo dolore. Il dolore di Angelo Pieri invece è muto, sterile: non credo che lui sia mai andato oltre la tragedia della strage".
Nel libro la riscrittura del diario si alterna ai ricordi di Marisa.
"Il memoriale di Angelo, cominciato il 9 novembre 1945, è scritto con uno stile telegrafico, asciutto, scarno, come se l’autore fosse una persona che ha perso tante cose e fra queste anche le parole. Io ho cercato di aggiungere parole, con dei ponti fra un suo testo e l’altro, rimanendo nel solco della sua personalità. Il suo era un dolore su cui non poteva germogliare niente; era chiuso in sé stesso e la sua stessa malattia, l’artrite reumatoide, probabilmente rifletteva la sua chiusura, la sua incapacità di parlare di sé stesso. Poi ho costruito le pagine di Marisa cercando di far dialogare padre e figlia, cercando dei paralleli nelle loro vite. Sono persone segnate dagli avvenimenti della storia".
Lei racconta anche la strage in sé, episodio per episodio. Perché pensa che sia importante scrivere ancora di questi fatti?
"Per dire dell’ingiustizia e anche per mettere in guardia su questo animale chiamato uomo e su quello che può arrivare a fare, a seconda delle circostanze storiche. E poi perché la memoria è come una mappa per un esploratore. Tutti noi siamo buttati in questa vita senza grandi strumenti di orientamento e la memoria può aiutarci. Può spingerci, per esempio, a essere cultori della gentilezza, cioè il contrario di quello che è stato. La stessa storia di Angelo Pieri, nella sofferenza estrema, è una storia di un grande amore: per la famiglia perduta e per quella creata dopo. Può un grammo d’amore compensare tanto male? Non lo so, ma vale la pena raccontare tutto" .
La memoria delle stragi non sta impedendo altre stragi, in questi stessi giorni.
"È vero, abbiamo davanti agli occhi esempi che ci fanno capire come sia stato tutto un po’ inutile. Non possiamo fermare le guerre, ma ognuno di noi può farsi carico di un pezzettino di memoria, fino a comporre una memoria collettiva che può invocare il rispetto della dignità di ogni persona. Penso che per tutti noi ci sia un dovere della memoria".