Domenica 11 Agosto 2024
DAVIDE RONDONI
Libri

Il potere della poesia. In viaggio con Yeats fino al termine dell’anima

L’Omero d’Irlanda, i suoi rapporti con i nostri autori, i suoi versi oscuri e magnetici: gli studi di Copioli ricordano come l’arte possa cambiare il mondo più della politica.

William Butler Yeats (1865-1939)

William Butler Yeats (1865-1939)

Nel mio andare “libero e nudo“ per piccoli o grandi eventi di arte e poesia riflettevo su cosa sia, e se esiste, un “potere della poesia“. Dinanzi a certi spettacoli, tra grottesco e retorico quando non demente e tragico, dei poteri politici e economici che segnano la nostra epoca, mi chiedevo se appunto vi sia “potere” che so nella bella iniziative della Regione Marche (Il dono dell’infinito; Marchestorie) che sostiene i borghi che promuovono poesia, o nel piccolo atelier di ClanDestino, o nel festival di poesia giovane a Montalto sopra Ascoli, o nelle mille e mille letture pubbliche che giovani o affermati poeti van facendo su e giù per la nostra penisola.

Se una cosa esiste, del resto, manifesta un proprio “potere“ nel senso più largo della parola. Il vento ha il potere di muovere le foglie, una piadina di far venire l’acquolina in bocca, un pedale di sospingere una bicicletta, così come la Harris o Trump l’avranno di governare l’America. E la poesia? Un bel libro di Rosita Copioli dedicato al suo amato W.B.Yeats (William Butler Yeats. Omero in Irlanda) mi ha dato qualche suggerimento. Già avevo il sospetto – su cui ho fondato la mia stramba esistenza – che le parole della buona poesia siano le uniche “pari alla vita“ come diceva Mario Luzi, le uniche ad avere il potere di rispettare e leggere la vita, i suoi misteriosi riflessi, le ferite profonde, le gioie splendenti. E il libro dove l’ottima poetessa Copioli raduna decenni di lavoro sul bardo d’Irlanda, morto nel 1939, offre qualche inquietante conferma. L’uomo che credeva nel potere della poesia, nel potere magico di un’arte che si lega a quella medesima di Omero, porta nei versi spesso oscuri e magnetici le linfe della mitologia, della preghiera, della lode. Tutto quel che serve a fare della vita di una persona qualcosa di diverso, di più d’un fascio “di eventi fortuiti e incoerenti che se ne sta seduto a colazione“.

Insomma, il potere della poesia per Yeats (e per la Copioli) viene da tutto quanto è stato considerato inutile e impotente da una buona parte, arrogante e piatta, della pseudo-cultura recente. Nel suo libro Rosita Copioli svolge un viaggio dichiaratamente personale in oltre trent’anni di fedeltà alla lettura, allo studio, alla divulgazione di Yeats. Viaggio che diviene anche una ricostruzione delle posizioni della cultura italiana recente dinanzi al poeta che credeva nel potere della poesia. Dallo scetticismo quasi ironico e venato di disprezzo di molte parti ideologizzate della cultura italiana, ai nodi che segretamente Yeats tesse tra figure come Citati e Manganelli che si riconobbero più a fondo. Commoventi, infatti, le pagine riportate di Citati su Manganelli: “un posseduto“.

E così tra visite alla figlia Anne, ricordi di convegni, facezie personali, piovose Dublino, “genealogie poetiche“ che legano Yeats al lavoro coraggioso e denso di poeti italiani come Conte, Kemeny, Mussapi, Pontiggia, oltre che la stessa Copioli, nonché al recente premio Nobel e compatriota Seamus Heaney, il libro si allarga in una sinfonia che rende l’avventura poetica una viaggio nella storia come in una foresta incantata – e non poteva essere altrimenti. Le pagine si gettano famelicamente a narrare i rapporti tra storia italiana e irlandese, elenchi di patrioti in cui troviamo i genitori di Oscar Wilde e amori di donne che viaggiavano attorniate da gabbie di uccellini.

Quale dunque il potere della poesia che emerge da queste pagine? Il potere che mai nessun atto politico o economico potrà mai avere: leggere e commuovere a fondo l’animo di una persona e di un popolo, creandoli e ricreandoli, decifrando poeticamente realtà e storia. Segnare i luoghi reconditi del cuore, aprire visioni, fissare memorie. Molti grandi poeti sono ignoti, anche se sospetto che la poesia circoli di piú di quanto i media – spesso ancorati a cliché – dicano, ma chi è raggiunto dal potere della poesia è allergico e direi vaccinato alle presunzioni dei poteri mondani che fanno molta scena e passano lasciando poco nel cuore.

Insomma, qualunque presidente americano ha contato meno, nell’animo delle persone, di E. Dickinson, o Whitman, Eliot, Ginsberg, Sexton, Carver. Chi è raggiunto dal potere della poesia sa che la vita trova solo lì la lingua ovvero la lente, adeguata alla sua comprensione. E questo è un potere discreto, immenso. E gratuito.