Lunedì 19 Agosto 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

"Il nazismo era del tutto evitabile". Il “j’accuse“ di Heinrich Mann

Torna in libreria “L’odio“, pamphlet nel 1933. Hitler detestava gli intellettuali, ma questi furono deboli

"Il nazismo era del tutto evitabile". Il “j’accuse“ di Heinrich Mann

Joseph Goebbels (1897-1945) in un comizio a Berlino nel 1934, da ministro. della Propaganda. In alto, i fratelli. Mann

Era il fatidico 1933, l’anno del definitivo avvento al potere di Adolf Hitler e del suo partito, e Heinrich Mann era già pronto a dire una verità bruciante per il popolo tedesco, per la sua classe intellettuale, per il suo ceto politico, e in fondo anche per sé stesso: "Il Paese per la cui cultura e civiltà tutti abbiamo lavorato, il Paese il cui patrimonio spirituale ho cercato di arricchire con tutte le mie forze, è stato degradato, imbarbarito e ridotto in una condizione che nessuna sconfitta esterna, e nemmeno la frammentazione interna, avrebbe mai potuto provocare. Uomini senza scienza né coscienza lo hanno consegnato all’universale disprezzo". La sconvolgente avventura del nazismo era appena all’inizio, ma il maggiore dei fratelli Mann già prefigurava il disastro a venire: una nuova guerra in Europa, l’attacco fatale all’Urss, l’ignominia per il suo Paese. Sbagliava solo i tempi. Pensava, lo scrittore, che la ragione sarebbe tornata a prevalere nel 1940, quando invece scattò l’invasione nazista dell’Europa centrale, fino all’occupazione di Parigi.

Heinrich Mann era già in esilio quando scrisse L’odio (da cui è tratta la citazione precedente, in uscita il 30 agosto per l’editore L’orma). Era fuggito in Francia, rocambolescamente, nel febbraio ‘33, il giorno prima che la polizia nazista perquisisse la sua casa di Berlino: lo avrebbero probabilmente arrestato, dovettero “accontentarsi” di tormentare la giovane moglie Nelly, cercando – invano – di sapere da lei dove fosse il marito, in che modo e in che direzione si fosse dileguato.

Heinrich Mann, negli anni cruciali dell’ascesa del nazismo, non era meno famoso del fratello Thomas, pur insignito col premio Nobel per la letteratura nel 1929. Nato nel 1871, autore di alterno successo, si era fatto notare con romanzi come Il paese della cuccagna, uscito nel 1900, e Il Suddito, del 1918, potente, sarcastica allegoria della Germania guglielmina, accartocciata su sé stessa, vanagloriosa, sottomessa: in molti, a posteriori, vi hanno letto un’anticipazione dell’imminente affermazione del nazismo, penetrato nelle viscere di una società tedesca debole e confusa.

Heinrich Mann è oggi ricordato soprattutto per il film del 1930 L’angelo azzurro (con Marlene Dietrich protagonista), tratto dalla sua corrosiva novella Professor Unrat, uscita nel 1905, ma la sua attività di saggista e attivista politico non è meno importante della produzione letteraria. Heinrich – diversamente da Thomas – fu un precoce e tenace oppositore del nazismo, che lo mise in testa alla lista dei suoi nemici fra gli odiati intellettuali, ed ebbe un importante ruolo pubblico, fino alla presa nazista del potere, come presidente della Sezione letteraria dell’Accademia delle Arti di Berlino, l’organismo culturale più importante della Germania.

Ne L’odio Mann si cimentò in un ritratto feroce dei nuovi potenti, mettendo alla berlina i gerarchi più in vista, Hermann Göring e Joseph Goebbels, descritti (e demoliti) con profetica perspicacia nella commistione di arroganza politica e pericolosa pochezza psicologica e intellettuale; lo stesso Adolf Hitler è nominato con sarcasmo "il grande uomo". "Non pensano – scrive di loro – anzi odiano il pensiero, perciò nonostante gli enormi crimini che commettono, rimangono sempre dei miseri falliti. Più di chiunque altro odiano noi intellettuali. Ci disprezzano incomparabilmente più dei comunisti e persino con ancora maggior foga degli ebrei, che pure non si può dire che non detestino dal profondo del cuore". L’odio è il racconto della "degradazione" che ha trascinato la Germania nel gorgo del nazismo e Heinrich Mann non esista a indicare i responsabili diretti del cedimento: l’ondata nazionalistica che pervase la società tedesca nei primi decenni del Novecento e la mancata opposizione culturale al nazismo nella sua fase nascente.

"La sanguinosa infamia che ha macchiato il Paese – scrive – era del tutto evitabile. Sarebbe bastato opporsi con serietà – e mi riferisco soprattutto agli intellettuali – invece di adattarsi con vigliaccheria e fingere di approvare le politiche naziste. Non si possono accettare le vaghe giustificazioni di un movimento disumano per programma politico".

Heinrich ebbe rapporti complicati col fratello Thomas. Vissero insieme, in buona armonia, molti passaggi delle loro vite (la comune passione per l’Italia è documentata nel romanzo di Heinrich La piccola città, ambientato nel buen retiro di Palestrina), ma ebbero anche forti contrasti personali e politici. Come scrisse in una lettera Thomas – arrivato ben più tardi del fratello all’antinazismo: "In me domina l’elemento nordico-protestante, in mio fratello Heinrich quello cattolico-latino. In me c’è quindi più coscienza, in lui più volontà attiva. Io sono un individualista etico, lui è socialista, o come si voglia ancora parafrasare e definire questo contrasto che si manifesta intellettualmente, artisticamente, politicamente, in breve in ogni rapporto".

Entrambi, nel dopoguerra, saranno simboli della cultura tedesca d’opposizione, nella comune persuasione, come scrisse Heinrich nelle ultime righe de L’odio, "che le fatiche letterarie non cadano mai nel vuoto, anche quando deve passare molto tempo prima che diventino accessibili ai lettori. Le generazioni future saranno in grado di agire con giustizia soltanto se noi, oggi, ci saremo ostinati a adoperare il linguaggio della verità".