Questa è una recensione complicata. Lo è perché l’opera in questione, Fammi un indovinello di Tillie Olsen, appena tornato in libreria dopo venti anni con una nuova traduzione, grazie a Marietti 1820, è troppe cose insieme per la sua esile struttura (164 pagine). Una raccolta di racconti di un’autrice nata in America da genitori russi, che ha attraversato quasi un secolo (è nata nel 1912, è morta nel 2007) interpretando i sogni, le ambizioni e le barriere della working class. Politicamente impegnata, più volte in carcere, Olsen ha studiato con pervicacia, non potendoselo permettere, e ha esercitato la scrittura come mestiere in un mondo in cui neppure gli uomini (figuriamoci le donne!) se privi di una rendita potevano fare. Tillie Olsen è stata un genio. Per la capacità straordinaria di descrivere l’anima della classe lavoratrice e delle donne, e per la creatività inaudita adoperata nella sua forma di scrittura.
Di tutto ciò Fammi un indovinello – pubblicato in Usa nel 1961 – è un riassunto perfetto. A cominciare da Sono qui che stiro, il racconto iniziale. C’è una mamma che stira, appunto, e rimugina sulla richiesta di incontro ricevuto da parte delle insegnanti della figlia adolescente. Cosa vorranno? Lei è lì che stira, e tra i fumi del vapore, ripercorre i suoi errori, i suoi sacrifici di madre, le sue aspirazioni per la figlia, la libertà che ha cercato di darle, la leggerezza che non è riuscito a passarle. È un manuale di genitorialità consapevole, questo racconto, scritto nel 1961 eppure sembra oggi.
E che dire di Ehi marinaio, che nave? C’è un uomo stanco, un marinaio vissuto senza casa e senza radici, che ricerca sotto il tetto dei suoi amici d’infanzia. Stilisticamente inaudito: è il racconto in prima persona di un ubriaco, risultato ottenuto con la sola costruzione delle frasi, senza caricature, senza ‘hic’, senza artifici. E così accade in O sì: uno squarcio su una società in cui tra bianchi e neri c’è ancora un muro che una madre, presentandosi con la figlia alla comunione della sua amichetta, nella comunità, cerca di scavalcare a fatica. Ma la lista, forse non ha molto senso. La verità è che Tillie Olsen va letta e riletta, perché in ogni suo racconto ha la capacità di rendere lisci i pensieri più annodati, di stenderli sul tavolo e metterli in fila, concedendosi pure il lusso di farlo divertendosi.
Simone Arminio