Milano, 18 maggio 2024 – Angelo Rizzoli fumava le Turmac, sul retro bianco della scatola annotava debiti, crediti, liquidità con una penna a inchiostro verde.
Come piccoli pezzi di un puzzle, sono questi i ricordi dell’editore e imprenditore Angelo Rizzoli che Il canto della fortuna di Chiara Bianchi mette insieme per costruire un romanzo dedicato a una delle famiglie più importanti d’Italia.
Ma l’immagine dell’uomo ricco e potente, sempre annunciato dal tintinnio dei soldi che porta in tasca, non è altro che un punto di arrivo. Per capire chi era Rizzoli bisogna riavvolgere il nastro all’indietro, scoprire da dove è partito. Tornare al 1800, a Milano, alla miseria.
“Il canto della fortuna”, la trama
Il piccolo Angiulin è un bambino gracile che a otto anni entra nell’orfanotrofio milanese dei Martinitt, nel 1897, perché la madre Giuditta, professione portinaia e stiratrice, non riesce più a occuparsi di lui. Un’esperienza che ricorda molto Le avventure di Oliver Twist di Charles Dickens, ma che gli permette di accedere a un apprendistato come tipografo stampatore – un lavoro che non lascerà più. A diciassette anni impara i trucchi del mestiere, ma di una cosa è certo: non vuole padroni. È per questo che, appena ne ha le possibilità, compra una pedalina e una platina e si mette in proprio fondando la “A. Rizzoli & C”.
Nei primi anni di attività Angelo Rizzoli ricopre tutti i ruoli all’interno dell’azienda: è padrone, operaio, commesso. Stampa di tutto, ma il primo vero colpo di genio arriva nell’ottobre del 1911 quando, una volta appreso che dello sbarco delle truppe italiane a Tripoli i giornali hanno solo un’illustrazione, di stampare una cartolina celebrativa: Rizzoli recluta falsi bersaglieri, li porta sul Naviglio insieme a dei grossi ventilatori e replica quello sbarco come se fosse vero. È un’idea pubblicitaria futurista, oltre che cinematografica.
In questi anni, mentre si dà da fare cercando nuovi incarichi anche dalle tipografie già avviate, conosce Anna. Angelo non è ancora un vero e proprio imprenditore, ma ha il fuoco e la fame negli occhi. Nel 1912 si sposano e inizia così l’avventura della famiglia Rizzoli.
Nel 1915 Angelo ha venticinque anni e come molti uomini viene chiamato a far parte dei soldati italiani impegnati nella Prima guerra mondiale. In quegli anni nascono anche i suoi tre figli: Andrea, Pinuccia e Rinella. Essere lontano, al fronte, mentre la sua famiglia cresce, non gli dà pace. È per questo che, una volta tornato, vuole di più: vuole far crescere la tipografia e il numero di dipendenti.
Stampa riviste – Il secolo illustrato, La donna, Comoedia, Novella, Oggi, Omnibus –, libri – la Bur è la prima collana –, i 36 volumi dell’Enciclopedia Treccani, s’innamora di Ischia e lì costruisce un complesso turistico internazionale, diventa produttore cinematografico – con Giuseppe Amato, Vittorio De Sica, Federico Fellini – e infine presidente del Milan – su richiesta del figlio Andrea. Una vita, mille vite. Dopo il cinema, gli resta un ultimo desiderio: fondare un nuovo quotidiano d’informazione a tiratura nazionale. Il figlio Andrea gli propone di comprare un giornale già avviato come il Corriere della Sera, un asso che non poteva mancare nell’impero Rizzoli, oppure Il Giorno. Un sogno che insegue per molti anni senza mai realizzarlo, almeno non lui. Ma questa è un’altra storia.
Nonostante il re Vittorio Emanuele III lo nomini Commendatore all’ordine della Corona – da lì il soprannome Cumenda –, Angelo Rizzoli vive la sua esposizione e il suo potere con un certo disagio: lui sa leggere appena, non è l’uomo di cultura che tutti immaginano. Una cosa è certa, ha saputo seguire il canto della fortuna che lo ha reso un imprenditore di successo.
Ed è quello che cerca di insegnare alla sua famiglia, a suo figlio Andrea che seguirà le orme del padre e poi ai nipoti nati tra lenzuola di seta che non conoscono il sacrificio. Non basta provarci, bisogna riuscirci. «Le banche devono restare fuori. La Rizzoli è dei Rizzoli. E così deve essere per sempre» ripete sempre Angelo, interrogandosi sulle sorti dell’Impero.
Il valore della letteratura
Era appena finita la Seconda guerra mondiale, quando il desidero di Rizzoli di entrare a far parte dell’editoria libraria, in diretta concorrenza con Arnoldo Mondadori – imprenditore dalle umili origini, proprio come lui -, si fa sempre più forte.
Luigi Rusca, ex direttore della filiale romana della Mondadori, desidera realizzare una biblioteca popolare di classici, un’idea bocciata dalla Mondadori e accolta con entusiasmo da Rizzoli: dal gennaio 1949 al maggio 1949, escono circa 20 titoli. Il primo titolo è I promessi sposi. Formato tascabile (10,5 x 15,7 cm), volumetti grigi (una veste vecchia, per evitare che si sporcasse), prezzo economico. Sono queste le premesse che portano alla nascita della Bur.
Rendere la letteratura accessibile a tutti non voleva soltanto dire tentare l’affare ma accrescere le basi per la crescita del Paese, fratturato dalle Due Guerre.
Inutile specificare che fu una scommessa vinta. Si narra che lo stesso Angelo Rizzoli avrebbe esclamato soddisfatto: «Altro che cultura! Con questi libri si guadagna un sacco di soldi».
Una parabola familiare di rivalsa sociale
Quello che Chiara Bianchi realizza è un affresco della famiglia Rizzoli, luci e ombre di una dinastia che ha saputo sfamare il pubblico del dopoguerra affamato di conoscenza, cambiandone il consumo culturale.
Il canto della fortuna, pubblicato da Salani “Le stanze”, è il primo volume della dualogia sui Rizzoli, una parabola familiare di rivalsa sociale che attraversa il Novecento. L’esordio letterario di Chiara Bianchi - editor freelance che vive a Berlino dove ha ideato, e modera, il gruppo di lettura in italiano Liber Liber Berlin - è la storia di un self-made man, determinato e amante del rischio. Una lettura consigliata agli amanti del genere storico o della letteratura italiana, a chi si lascia coinvolgere dalla complessità delle dinamiche familiari, a chi nella crescita personale e professionale di un grande Gatsby italiano trova l’ispirazione per costruire il proprio futuro.