Domenica 23 Febbraio 2025
SIMONA BALDELLI
Libri

Grazie per l’indirizzo che credevamo perduto

Laura carissima, come potevo non scriverti una delle lettere di questa piccola rubrica che si ispira proprio ai carteggi di...

Laura carissima, come potevo non scriverti una delle lettere di questa piccola rubrica che si ispira proprio ai carteggi di...

Laura carissima, come potevo non scriverti una delle lettere di questa piccola rubrica che si ispira proprio ai carteggi di...

Laura carissima, come potevo non scriverti una delle lettere di questa piccola rubrica che si ispira proprio ai carteggi di Calvino, dopo aver letto il tuo “Tutti gli indirizzi perduti” al centro del quale c’è un “Ufficio postale alla deriva”? Era un passaggio obbligato, un po’ come il viaggio della tua giovane Risa sull’isola di Awashima, dove c’è lo strambo ufficio postale al quale, da ogni angolo del mondo, vengono spedite lettere per destinatari altrimenti irraggiungibili. Oggetti, persone morte o incrociate per caso e poi svanite, giocattoli.

Risa giunge con il proposito di catalogarle e di trovare la risposta a una domanda. Alcuni di noi la dimenticano durante il viaggio; ad altri non basta un’esistenza intera per scoprirla. Ma Risa, piccola e sottile, è soprattutto tenace. Che grande opportunità è, per noi lettori, questa tua appartenenza a due mondi: l’Italia dove sei nata e il Giappone dove hai scelto di vivere. Ci consente una doppia soggettiva, uno sguardo plurale sulle cose necessario per questa storia senza confini netti. "Disponiamo dell’infinito per un tempo limitato" ci ricordi nelle prime pagine. Una riflessione che non facciamo mai, eppure è una verità lampante. Veniamo al mondo illimitati, ma passiamo la vita a metterci confini. "Si trattava di attraversare incolumi l’infanzia" dici più avanti. È il motivo per cui le lettere vengono spedite? Ripassare dal via per cambiare il corso degli eventi? Riparare torti fatti o subiti? Tornare a essere infiniti?

Sai, Laura, il tuo romanzo mi interroga molto su questo presente di grafomani. Non ce ne rendiamo conto ma ogni giorno siamo come quell’umanità che descrivi: spediamo lettere a destinatari immateriali. Cos’altro sono i nostri post sui social se non il tentativo disperato di fissare un ricordo, un’emozione, lo spavento per una malattia, il dolore di una perdita, la gioia di un risultato raggiunto, con lo stesso senso di intimità col quale, tempo fa, lo avremmo affidato a un diario di carta. Nel capitolo in cui i turisti visitano il piccolo ufficio postale e spulciano fra le lettere di mittenti e destinatari sconosciuti, ho visto tutti noi intenti a “scrollare” fotografie di compleanni, tramonti, animali, poesie, invettive, sfoghi personali. È questo che facciamo sui nostri profili? Mandiamo messaggi in bottiglia nella speranza che, prima o poi, raggiungano qualcuno di cui abbiamo perduto l’indirizzo? Stiamo scrivendo al bambino che siamo stati per fargli coraggio? Per dirgli che non l’abbiamo dimenticato e prima o poi ne esaudiremo i sogni? È questo che sto facendo, ora? Scrivo a te su questa pagina di giornale perché non ho un ufficio postale alla deriva in cui cercare i pezzetti che ho smarrito?

Bisognerà salire tutti su quel traghetto e visitare l’isola a forma di elica. Grazie per averci mandato l’indirizzo che credevamo perduto.