Venerdì 26 Luglio 2024
CESARE SARTORI
Libri

Un libro per l’estate / Gli strappi della vita: così l’Arminuta torna per andare avanti

Donatella Di Pietrantonio, “L’arminuta” (Einaudi, 2017): una giovane affidata ad altri genitori viene ripresa dalla sua famiglia d'origine. Un viaggio di rinascita e accettazione: il tema della maturità e dell’identità raccontato con intensità e originalità. Anche in “Borgo Sud”

Donatella Di Pietrantonio, 62 anni

Donatella Di Pietrantonio, 62 anni

Firenze, 24 luglio 2024 – Neppure una sottolineatura in 161 pagine! Non è nel mio stile di lettura. Delle due l’una: o non c’era niente di significativo/memorabile da ricordare oppure bisognava sottolineare tutto. Buona la seconda. Per raccontare gli strappi della vita servono parole scabre, schiette, essenziali, spigolose ma piene di luce e questo tipo di parole l’autrice – che di mestiere fa la dentista! – le padroneggia e maneggia con delicata sapienza restituendone al lettore il raro incanto.

"Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenevo, la parola ‘mamma’ si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza”.

“— Ma la tua mamma qual è? — mi ha domandato scoraggiata. — Ne ho due. Una è tua madre”.

Quando la protagonista, con una valigia in una mano e una borsa piena di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta, ad aprirle è sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. La storia comincia così: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche più care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per l'Arminuta, come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita.

La casa è piccola e buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a sé stessi.

Donatella Di Pietrantonio, fresca vincitrice del premio Strega con “L’età fragile” (Einaudi),  conosce le parole per dirlo, per raccontarlo e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.

“Restituita” non è proprio il significato preciso della parola “arminuta”. L'origine abruzzese di questo termine è più profonda, più oscura, è un rientro controvoglia nella famiglia d'origine, una radice espiantata e che forzatamente viene rimessa in una terra che non è la sua. Nel contesto del romanzo assume un valore più profondo: è il termine-chiave a indicare un viaggio a ritroso nella propria vita, un ritorno sui propri passi che inizialmente verrà visto come un tornare indietro, anche metaforico; oltre che un precipitare, dall’alto di una vita agiata e piena di attenzioni al basso di un disagio economico-sociale-affettivo, anche il significato di una nuova famiglia (che poi in realtà è la vecchia famiglia d'origine) così lontana dal milieu in cui la ragazza è cresciuta. Ma quel ritorno alla fine sarà invece un viaggio di iniziazione, un andare avanti.

Copertina del libro strepitosa.

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Di Donatella Di Pietrantonio consiglio anche “Borgo Sud”, Einaudi, che è il seguito, bellissimo, dell’”Arminuta”.

“C’era qualcosa in me che chiamava gli abbandoni”.

Adriana è come un vento: irrompe sempre nella vita della sorella con la forza di una rivelazione, porta sempre uno scompiglio vitale, impudente, ma soprattutto una spinta risoluta a guardare in faccia la verità. Anche quella più scomoda, o troppo amara. Sono state bambine riottose e complici, figlie di nessuna madre. Ora sono donne cariche di slanci e di sbagli, di delusioni e possibilità, con un’eredità di parole non dette e di attenzioni intermittenti. Vivono due grandi amori, sacri e un po’ storti, irreparabili come sono a volte gli amori incontrati da giovani. Ma per chi non conosce la lingua dell’affetto è molto difficile aprire il cuore.

È il momento più buio della notte, quello che precede l’alba, quando Adriana tempesta di pugni la porta con un neonato in braccio. Non si vedevano da un po’, e sua sorella nemmeno sapeva che lei aspettasse un figlio. Ma da chi sta scappando? È davvero in pericolo? Entrando nell’appartamento della sorella e di suo marito, Adriana, arruffata e in fuga, apparente portatrice di disordine, indicherà la crepa su cui poggia quel matrimonio: le assenze di Piero, la sua tenerezza, la sua eleganza distaccata, assumono piano piano una valenza tutta diversa.

Anni dopo, una telefonata improvvisa costringe la narratrice di questa storia a partire di corsa dalla città francese in cui ha deciso di vivere. Inizia una notte interminabile di viaggio – in cui mettere insieme i ricordi -, che la riporterà a Pescara, e precisamente a Borgo Sud, la zona marinara della città. È lì, in quel microcosmo così impenetrabile eppure così accogliente, con le sue leggi indiscutibili e la sua gente ospitale e rude, che potrà scoprire cos’è realmente successo e, forse, fare pace col passato.

“Non riesco a dormire in questa stanza d’albergo (...) È trascorso molto tempo da allora e la festa di laurea di Piero è un ricordo infedele, o un sogno frammentario. Forse non potrò più ristabilire la verità su niente, dopo la telefonata che ho ricevuto ieri. Sotto la porta filtra la luce tenue del corridoio, uno scalpiccio ovattato. Passano altri ricordi, affollati, in disordine. La memoria sceglie le sue carte dal mazzo, le scambia, a volte bara”.

“Piero era circondato da una sorta di campo magnetico che negli anni del nostro matrimonio ha respinto la mia rabbia, escluso certe domande, generato equivoci. Dentro la sua separatezza non l’ho mai del tutto raggiunto, mai nella sua verità. Avevo paura di spingermi oltre le apparenze, calme come l’acqua oltre le dune di Cerrano”

“Come dice il nostro Flaiano, oggi anche il cretino è specializzato. Io preferisco tenere gli occhi aperti sul mondo”.

“La vampa del giorno si attenuava, le donne sovrapponevano le cassette vuote, smontavano i banchetti con l’aiuto dei fratelli e dei mariti stanchi del mare. Sciò, sciò le caiane, strillava un ragazzo scacciando i gabbiani che si erano posati in cerca di avanzi. Mi trovavo non così lontano da casa mia, eppure era tutto diverso, un mondo a parte. Di là avevo lasciato un piccolo libro aperto sulle poesie che amavo, un seminario da preparare, un ordine stabilito; qui, dove Adriana mi aveva portato, la vita sembrava più vera, scandalosa e pulsante. Ne ero attratta e spaventata allo stesso tempo”.