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Francesco Piccolo, scrittore e sceneggiatore: ha 60 anni (Photo by Roberto Serra / Iguana)
Il “savio scolare“ Rinieri, lo studente che devasta il corpo di Elena nella Settima novella dell’Ottava giornata del Decameron, che nella contemporaneità sarebbe facilmente un uomo che sfigura la propria compagna con l’acido. Il passivo-aggressivo "uomo ridicolo" Zeno Cosini, lo spietato Innominato che "può essere generoso solo quando ha già vinto, ha già sopraffatto". E poi il principe Fabrizio Salina del Gattopardo, in crisi di mezza età "incapace di possedere ciò che vuole" e Antonio Dorigo di Un amore di Buzzati, che "tenta di ribaltare quel suo senso di inferiorità in un esercizio di superiorità: andare con le puttane".
Nel libro Son qui, m’ammazzi - I personaggi maschili nella letteratura italiana (Einaudi), titolo che cita appunto una delle scene più potenti de I promessi sposi, lo scrittore Francesco Piccolo attraversa la letteratura italiana, dal Decameron di Boccaccio a Via Gemito di Starnone, alla ricerca dei personaggi fondativi del mito del maschio. Ne emerge un ritratto eterogeneo ma contraddistinto da violenza, ferocia, sopraffazione. Manco a dirlo, sempre nei confronti delle donne, verso le quali nutre un desiderio non dissimile all’ossessione e un amore assimilabile al possesso e alla smania di controllo.
Ha selezionato i personaggi per offrire un quadro generale o alcuni li ha incontrati durante le ricerche?
"Entrambe le cose. Sono partito dalla novella dello scolaro ed Elena del Decameron, pensando soprattutto al ‘Son qui: m’ammazzi’ esclamato da Lucia. Poi mi sono messo a cercare dentro ai libri che amo di più, dall’Orlando furioso e I Malavoglia al Bell’Antonio e Il Gattopardo, fino a capire che si possono trovare esempi in qualsiasi libro".
Quali di questi personaggi più rispecchiano l’uomo contemporaneo?
"Ce ne sono parecchi, sicuramente in Una questione privata di Fenoglio e nella Coscienza di Zeno di Svevo. Pensiamo alla vendetta dello studente, che oggi sarebbe un femminicidio".
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Dalla sua analisi emerge che negli uomini l’amore coincide con il possesso e il controllo.
"L’amore e il possesso, il dominio, l’espressione della potenza sono un po’ legate nel maschile, tra l’altro un elemento non di sicurezza ma di insicurezza, non di forza ma di di fragilità. Lo studente del Decameron attua la sua terribile vendetta non perché è forte ma perché è annientato: è la reazione all’annientamento ad essere è devastante. Anche Zeno Cosini è un fragile, un inetto, ma ciò fa reagire con degli elementi di arroganza. Questa combinazione c’è sempre".
Nell’episodio dello studente del Decameron avanza l’ipotesi dell’autobiografismo.
"C’è sicuramente, come c’è in Via Gemito, nella Coscienza di Zeno, in Una questione privata".
L’arrogante per eccellenza è Dorigo di Un amore di Buzzati.
"Dorigo è il personaggio più sorprendente, quello che incarna di più l’animo di un uomo. Quello che c’è nella testa di Dorigo, i suoi pensieri, i suoi incubi, sono quello che veramente fa più paura della testa del maschio, perché quest’idea di sopraffazione, possesso, gelosia, fa veramente fare al maschio pensieri feroci. È interessante, perché l’elemento che rende tutto questo veramente pericoloso è il fatto che il maschio, se ha dei pensieri feroci, li può anche mettere in atto. In questo legame tra la ferocia che immagina e quella che può mettere in atto, ravviso una caratteristica spaventosa".
L’Innominato è la pietà maschile che può mostrarsi solo davanti all’estrema resa femminile.
"È ciò che dice Manzoni di questo personaggio. Ho intitolato il libro con la frase che Lucia dice all’Innominato perché è la frase più definitiva di resa di una donna. E a quel punto, quando la decisione è totalmente nelle mani del maschio, egli può anche essere generoso, compassionevole ma perché ha già vinto, ha già sopraffatto, ha già il potere di fare quello che vuole. E a quel punto può diventare generoso".
Don Fabrizio è l’uomo in crisi di mezza età che non si rassegna.
"Ha due caratteristiche: quella di perdere la potenza nobiliare e quella di perdere la centralità del mondo in quanto maschio poiché invecchia. Queste due cose coincidono molto bene, tanto è vero che Angelica rappresenta non soltanto colei che salverà la sua famiglia, perché sposandosi alla borghesia in qualche modo la rivitalizza, ma rappresenta anche l’incapacità del principe Fabrizio di possedere direttamente ciò che vuole. Il suo desiderio per Angelica attraversa tutto il libro".
La declinazione del maschio forse più narrata in letteratura è quella del padre: quanto influisce questa figura nel mito del maschio in letteratura?
"Nel libro ci sono padri importanti, quello del Giardino dei Finzi-Contini, quello di Via Gemito, quello fondante per Zeno. Il padre c’è sempre; rappresenta, oltre che un diretto legame con la mascolinità, anche l’idea che la licenza culturale arrivi da qualche parte".
Alla fine cita Carla Lonzi dicendo che il mito dell’uomo nuovo è un’assurdità. La consapevolezza maschile è il massimo che possiamo chiedere?
"Attraverso la consapevolezza possono accadere miglioramenti, ma sicuramente l’uomo nuovo tenta di scavalcare la consapevolezza e di andare direttamente ai miglioramenti".
Scriverà altri libri di questo genere?
"Mi piacerebbe scriverne uno sui personaggi maschili del cinema. Attraversare questo libro, a proposito di presa di coscienza, mi ha fatto capire molte cose. È stata un’esperienza che mi ha reso felice, perché avere a che fare con la letteratura in questo modo, andando a cercare anche le parti buie, non solo dei personaggi letterari ma di me, è stata un’esperienza molto bella".