Sabato 27 Luglio 2024
MATTEO MASSI
Libri

Francesca Morvillo: la sua vita per la giustizia

Sabrina Pisu ricostruisce l’impegno della magistrata moglie di Falcone e uccisa con lui

Francesca Morvillo

Francesca Morvillo

Roma, 19 maggio 2024 – Francesca soffre l’auto. E così si siede sempre sul sedile del passeggero anteriore, mai dietro. È così anche quel pomeriggio con la Croma bianca guidata dal marito, Giovanni, diretta a Palermo. Centotrenta chilometri orari, uno sguardo d’intesa tra i due e poco dopo un gesto avventato di lui che stacca per un istante le chiavi dal quadro dell’automobile per darle all’autista, Giuseppe, seduto dietro. Il signor Costanza, l’autista, dice: "Dottore, così ci andiamo ad ammazzare". Sono le 17.58 del 23 maggio 1992, l’autostrada a Capaci si spezza praticamente in due. Così come l’auto di scorta che precede quella di Giovanni e Francesca. Una voragine, un’immagine plastica, sinistra, di quello che l’Italia è appena diventata dopo quell’attentato. Quel giorno però non muoiono solo Giovanni Falcone con i suoi agenti di scorta (Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani), ma anche Francesca Morvillo. Che non è solo la moglie del giudice Falcone. Si erano sposati nel 1986 e messi insieme nel 1979, entrambi alle spalle un precedente matrimonio. Francesca Morvillo è una magistrata. Una delle prime donne a entrare in magistratura, sul solco di suo padre che l’aveva sempre spinta a inseguire libertà e autonomia. Il primo giorno da magistrata, lei indosserà proprio la toga del padre. A 32 anni da quella strage che è stata uno spartiacque per l’Italia, segnando profondamente il Paese, sconvolgendolo, è sacrosanto raccontare anche chi fosse Francesca Morvillo. Non solo la moglie di Falcone, appunto. Una magistrata in anticipo sui tempi, sia durante l’impegno nella procura minorile, sia da consigliera della Corte d’Appello. In quella primavera del 1992 era da poco stata considerata idonea per essere valutata come magistrata in Cassazione. All’orizzonte, con i suoi occhi neri ma trasparenti, vedeva quello: lavorare nella stessa città, Roma, dove suo marito si era trasferito.

Nel liceo classico Vittorio Emanuele di Palermo, frequentato da Francesca, c’è una sua foto; un’altra al carcere minorile Malaspine dove fu la procuratrice per i minorenni: due foto però non bastano per ricordare cosa è stata e cosa ha rappresentato Francesca Morvillo. E il libro di Sabrina Pisu (“Il mio silenzio è una stella”, Einaudi) che ha ricostruito la vita della magistrata è un utile conforto. Partendo proprio da quegli occhi, neri e trasparenti, proiettati verso il futuro. Un futuro spezzato barbaramente.