Giovedì 25 Luglio 2024
SILVIA ANTENUCCI
Libri

Francesca Giannone, dal dopoguerra al boom: Agnese e Lorenzo, i (due) volti della scelta

La scrittrice bestseller de ‘La portalettere’ è già in testa alle classifiche con il nuovo ‘Domani, domani’. "Sullo sfondo del Salento si scontrano due fratelli, il destino e la volontà di cambiamento, rabbia maschile ed emancipazione femminile"

Francesca Giannone, 42 anni

Francesca Giannone, 42 anni

Roma, 21 luglio 2024 – Dalla storia di Anna, "la Forestiera" che si trasferisce a Lizzanello e compie il gesto rivoluzionario di diventare portalettere, a quella di due fratelli, Lorenzo e Agnese, tanto uniti quanto diversi che, un giorno, scoprono di aver perso ciò che più amano al mondo: il saponificio di famiglia, Casa Rizzo, luogo dell’infanzia e dell’identità, simbolo di Araglie, il paesino pugliese nel quale vivono, e rappresentazione di ogni sogno e progetto. Entrambi si trovano inaspettatamente davanti allo stesso bivio, a compiere una scelta che inciderà sul loro futuro determinandone, pagina dopo pagina, il destino. Intorno ai protagonisti di ‘Domani, domani’ (Casa Editrice Nord) di Francesca Giannone, autrice di ‘La portalettere’, vincitore del Premio Bancarella 2023 nonché romanzo più venduto dello scorso anno, si snodano le storie dei loro genitori, degli operai della fabbrica, di alcuni parenti e famiglie del paese nel Salento del dopoguerra tra boom economico, grandi speranze e tanta musica.

Francesca Giannone: cos’è cambiato da La Portalettere a Domani, domani?

"Per il nuovo romanzo ho cercato di mantenere lo spirito con il quale ho scritto il primo, fingendo quasi che non esistesse, per evitare l’ansia da prestazione e delle aspettative e poter scrivere con lo stesso cuore. Se non si emoziona chi scrive non si emoziona nemmeno chi legge. I due romanzi hanno in comune l’ambientazione e l’attenzione per l’emancipazione femminile".

Nel libro affronta diversi temi, a partire da quello del destino.

"Mi interessava riflettere su di esso inteso come ciò che riceviamo, ereditiamo all’inizio della nostra vita ma anche sull’impatto che le scelte che compiamo hanno su di noi e sulle persone che amiamo. Penso a Giuseppe, il padre di Lorenzo e Agnese, costretto a gestire un’eredità che detesta ma che, quando decide di rifiutare, finisce per influire in maniera drammatica sul futuro dei figli, creando una frattura insanabile. La sua decisione ha un peso enorme sui familiari, soprattutto perché nell’istante in cui si opera una scelta si escludono automaticamente tutte le altre opzioni".

Noi siamo l’insieme delle scelte che facciamo o ci guida il destino?

"Credo entrambe le cose, per questo nel libro emerge la variabile di quello che la vita ci propone, delle occasioni nonché del rimpianto, un tema che riguarda tutti. Tramite Lorenzo, e la sua ossessione per la fabbrica, rifletto su quanto valga la pena, alla fine, farsi guidare dalla rabbia e dalla sete di vendetta". Lorenzo è il monito di ciò che bisognerebbe evitare di fare? "Lo è per suo nipote, probabilmente per i suoi familiari e amici e spero lo sia per il lettore. In tanti mi hanno scritto chiedendomi se il finale resta aperto perché prevedo un sequel. Non è così: il finale non è aperto, è pensato per sollecitare chi legge a farsi delle domande, a riflettere sul proprio percorso".

Agnese compie una scelta diversa.

"Lei si costruisce il suo domani attraverso la dedizione al lavoro e l’amore per un uomo che deciderà di seguire. Insieme a Teresa, figlia di operai che diventerà avvocato, e ad Angela, ragazza bellissima che scopre di poter esistere anche senza un fidanzato, rappresenta una delle tante, possibili declinazioni dell’essere donna. Per me era importante ricordare che non esiste un modo giusto e uno sbagliato, oggi, per essere donna: ogni decisione è legittima purché sia fatta in piena libertà".

Per questo ha scelto di ambientare la storia negli anni ’50?

"Trovo che questo periodo sia stato molto raccontato al cinema e poco in letteratura. Mi interessava indagare la generazione del secondo dopoguerra fino agli anni ’60, quella che coglie che il mondo sta cambiando in fretta e inizia a pensare in grande, a sognare. C’è il boom economico, la coscienza di classe, l’emancipazione femminile".

Il romanzo è ricco di richiami alle canzoni dell’epoca e su Spotify c’è una playlist collegata al libro.

"Quella l’ho creata io per ascoltarla mentre scrivevo, in modo da entrare nella giusta atmosfera. La musica è stata fondamentale per quella generazione, che andava fuori a ballare Modugno, Mina, il primo Gino Paoli, canzoni di rottura che hanno aperto le porte agli anni ’60. Allo stesso modo il cinema, i miei personaggi vanno a vedere Truffaut, Bergman, Hitchcock".

Agnese compie piccoli rituali magici per scongiurare problemi e catastrofi. Il padre somatizza, la fabbrica è il male nel corpo.

"Il corpo ci parla, capisce le cose molto prima di noi, è strettamente collegato alla mente. Succede a Giuseppe e a sua figlia ma anche a Lorenzo, che infatti quando raggiunge il suo obiettivo viene colto invece che dalla gioia da un principio di attacco di panico".

Oltre ad ascoltare la musica, ha letto o fatto altro mentre scriveva?

"No. Generalmente, quando scrivo, zittisco tutto il rumore intorno a me, per cercare e far emergere la mia voce".

Quali sono gli autori o le autrici che preferisce?

"Il mio primo amore è stata la letteratura americana, da Hemingway a Fitzgerald sino ai racconti di Carver. I miei riferimenti sono tanti, e non manca Elena Ferrante per la quale sono felicissima del riconoscimento che ha ricevuto dal ‘New York Times’. Il suo è uno dei pochi libri che ho riletto più di una volta. In tal senso la penso come il giornalista Francesco Piccolo: la sua è un’opera-mondo, dentro c’è tutto".