Sabato 27 Luglio 2024
CHIARA DI CLEMENTE
Libri

Esuli in Italia, saga di cuori ghiacciati: quando la memoria aiuta a guarire

Dall’inizio del Novecento a oggi, tra pogrom e leggi razziali. Ne “La figlia inutile“ Laura Forti ricostruisce una storia familiare

I piccoli fratelli Dresner: Elena è la terza a destra. In alto la copertina del libro La figlia inutile di Laura Forti (Guanda)

I piccoli fratelli Dresner: Elena è la terza a destra. In alto la copertina del libro La figlia inutile di Laura Forti (Guanda)

Roma, 14 maggio 2024 – “Scrivere per me è sopravvivere", confessa Laura Forti in uno dei primi capitoli del suo ultimo libro La figlia inutile (Guanda). "Dina Wardi, terapeuta israeliana che ha lavorato a lungo con i discendenti dei superstiti nel suo importante saggio Le candele della memoria, individua due categorie di sopravvissuti: i combattenti, coloro che sono usciti dalla Shoah rappresentandosi coraggiosi, fieri... E poi ci sono le vittime, che non desiderano parlare del passato, che ne hanno persino vergogna, i buoni che preferiscono sminuire, cancellare, coprire. I primi hanno un conflitto con paura e fragilità che non ammetterebbero mai, i secondi covano dentro una rabbia esplosiva inespressa. Ma se queste emozioni non arrivano alla coscienza e si incistano nella personalità dei padri e delle madri, sicuramente danneggeranno i figli e poi i nipoti. Saranno sempre dipendenti, incatenati, per opposizione o confluenza, al lascito e al destino dei loro avi. Quindi quello che mi spinge a partire per un’indagine familiare è la sete di libertà. Penso che l’unico modo per non soccombere alla trasmissione dei traumi incapsulati e dei non detti confinati nella reticenza sia spezzare le catene generazionali".

I traumi e i non detti della famiglia Dresner, la famiglia da cui discende Laura Forti, sono i nervi e le ossa di una saga emblematica che – nella verità, anzi: nella documentatissima ricerca della verità storica da parte della scrittrice – abbraccia la Storia del Novecento lungo mezza Europa, il rapporto con la religione ebraica, la vita emotiva, l’analisi psicologica dei protagonisti, esuli (russi). In primo piano abbiamo la nonna della scrittrice, Elena. Il padre di Elena era Szaja Drezner, nato a Kolbiel, un villaggio a sud-est di Varsavia nel 1885, e in fuga verso la Francia dopo il pogrom di Kishinev con la moglie Rojza incinta e un figlio, Israel, di pochi mesi, tutti nascosti in un carro di fieno. Durante il viaggio, Israel muore. "Il fantasma del figlio perduto durante l’esilio si insediò per sempre nell’anima della famiglia e decise il destino degli altri", scrive Forti. A Parigi Szaja diventa Gilles, poi Jules; Rojza Rose; il cognome Drezner si muta in Dresner. Il viaggio della famiglia – nel frattempo vengono alla luce Pauline ed Elena – deve proseguire in Assia, poi di nuovo in Francia finché per Jules non si materializza – 1912 – la possibilità d’impiego a Milano, al Credito Italiano.

Anche stavolta dovevano partire leggeri – scrive Forti – "perché non sapevano che cosa li attendesse. Rose avrebbe lavorato come sarta... non poteva portarsi dietro tutti e due i bambini piccoli, di cui una, mia nonna, particolarmente vivace e inquieta. Andava fatta una scelta salomonica. Lasciarono a Nancy dal cugino Fejbus la figlia inutile, ritenuta sacrificabile, e partirono per ricomiciare una nuova vita". A Milano Gilles diventa Giulio, fa carriera velocemente, si interessa al sionismo nascente – allora – nel nostro Paese, simpatizza per Mussolini; a Milano la famiglia Dresner, padre madre figlia Pauline-Paola e il nuovo arrivato Alberto, riaccoglie Elena, il cui destino di “esule al quadrato“ si ripete: fin dalla nascita "sapeva già bene cosa fosse la vita: un’esperienza di isolamento spaventoso, dove nessuno avrebbe risposto ai suoi segnali, intrisa di dolore. Fin dalla nascita il suo destino era segnato: era stata selezionata tra i figli sbagliati". Il suo cuore era "un cuore in esilio".

Elena non trova pace in quel ritorno, così come nel giro di pochi anni tutto crolla di nuovo intorno a Giulio e ai suoi: le leggi razziali non li risparmiano, bisogna scappare di nuovo, partire, terzo esilio, direzione Cile. In Cile Giulio morirà, l’11 dicembre ’71: ancora un altro nome e un altro cognome, Julio Dreneri. In Cile il suo bisnipote José Valenzuela Levi, avrebbe poi cercato di uccidere Pinochet, e sarebbe stato ucciso in una strage dimostrativa nell’87, a 29 anni, ma questa è un’altra storia ancora – già narrata da Forti nel libro e pièce teatrale L’acrobata.

Il “cuore in esilio” di Elena è quello con cui viene in contatto la scrittrice da ragazza: la narrazione familiare sulla donna è ovviamente ricca di “non detti“, di lei si sa che è “eroica“. Carismatica. O tutt’al più coraggiosamente “mezza matta“. Ma Forti ha di lei una percezione ambivalente: abbandoni, fratellini morti, perché non se ne parla? E poi perché dispotica nelle ore di veglia, ma terrorizzata dagli incubi di notte? "Era come se la nonna avesse una ferita coperta da un cerotto, solo che nessuno ci faceva caso. Io invece non riuscivo a distogliere lo sguardo dal cerotto. Cosa sarebbe accaduto a toglierlo? Cosa si nascondeva sotto? Quali cicatrici? Forse quell’abisso che sembrava sempre pronto a risucchiare tutto in un vortice minaccioso, nonostante il clima di festa e di allegria?"

Sotto il cerotto c’è la memoria individuale e collettiva, c’è il racconto di un’Italia lontana eppure attualissima, c’è la doppia cicatrice d’essere esule e figlia di esuli: siano gli inconsolabili attaccati al passato, o gli indomiti avventurieri (alla Giulio), sono tutte vittime di traumi speculari (ocnofilia e filobatismo) che se si sclerotizzano continueranno a impedire di vivere ai discendenti, generazione dopo generazione. È per questo che Forti "scrive per sopravvivere": la missione della Figlia inutile non è solo ricostruire la storia di una famiglia indietro nel tempo, ma è dare un corpo a quella donna, le cui ceneri riposano nel pezzettino di cimitero ebraico destinato ai suicidi. Solo dandole un corpo, verrà strappata all’inutilità a cui è stata condannata, condanna che come un’ombra si proietta su chi le è stata accanto e su chi è arrivato dopo e su chi arriverà poi: per sopravvivere all’esilio perenne i coraggiosi, eroici Dresner hanno imparato e tramandato che il bagaglio più pesante, e quindi inutile, sono i sentimenti. La nipote scrittrice, per sopravvivere, deve invece ricostruire con la memoria il corpo della nonna. Solo "incarnare lo scomparso" scongela il ricordo. E permette a entrambe di essere fragili. E permette a entrambe di volersi bene.