
Esce il libro “Insieme“: lo racconta Antonio Calabrò, presidente di Fondazione Assolombarda e di Museimpresa
È il 25 giugno 1945. Due mesi dopo la Liberazione. A Milano, con la democrazia, risorge la voglia di fare sentire la voce dell’impresa. Cinquantaquattro soci in uno studio notarile di piazza Mercanti, fra antichi palazzi e crateri di bombe, danno vita ad Assolombarda, casa degli industriali della metropoli. Ottant’anni di invenzioni, benessere, lavoro e cambiamenti sociali. Un traguardo che confluisce nel volume INSIEME. Assolombarda. La nostra storia (Marsilio Arte, 272 pagine, 45 euro) che sarà presentato lunedì, al Teatro Studio Melato, e in cui la parabola di un sistema di oltre settemila aziende traccia il ritratto di una società in perenne cambiamento. Ad anticipare il viaggio è Antonio Calabrò, presidente di Fondazione Assolombarda e di Museimpresa.
Più economia o cultura?
"Questa non è la vicenda di un’industria che fa soldi. È la storia di un sistema che fonda il valore economico sui valori".
Una dichiarazione d’intenti?
"Una dichiarazione d’amore per l’essere umano. Per la sua capacità di creare attraverso il lavoro. Cultura è economia. Fare impresa è fare cultura: un brevetto, la bellezza di una nuova formula chimica sono cultura. Cultura è scrivere bene un bilancio, un contratto. L’ispirazione di questo concetto affonda le radici nella visione degli Annales di Marc Bloch e Lucien Febvre".
Gli studiosi francesi che hanno pensato a un modello che non fosse quello della sequenza di avvenimenti, ma analisi multidisciplinare...
"O se si preferisce, è la rappresentazione della forza delle culture materiali, su cui rifletteva lo storico dell’economia Carlo Cipolla".
Assolombarda cos’è stata per Milano in questi ottant’anni?
"La capacità di unire lo sviluppo del capitale industriale a quello del capitale sociale".
Società e benessere insieme?
"Non c’è solo la lezione di Adriano Olivetti, ci sono le “dieci regole del buon imprenditore“ di Leopoldo Pirelli. Dove c’è già l’intuizione del ruolo delle pmi e del rapporto impresa-territorio, della sostenibilità che non è marketing, ma un valore aggiunto della produzione. L’idea che si è competitivi solo se lo è anche il luogo dove l’impresa vive. È la lezione di economia civile lasciata da Antonio Genovesi, illuminista napoletano, ma anche da Pietro Verri e da Carlo Cattaneo".
In ottant’anni si è passati dalle grandi fabbriche piene di operai alla stampa 3D, dall’industria pesante al digitale...
"È cambiata la forma, la cultura dell’impresa. Dal modello fordista, dalle grandi conglomerate, dal valore della grandezza si passa alla qualità totale, all’estrema specializzazione".
Come ad esempio...
"Settori come l’arredo: un sistema di specializzazioni elevatissime e diverse: design, lavorazione del legno, ferramenta e meccanica di precisione. Un’industria che si fa sofisticata, che ha la forza di intuire e anticipare il futuro".
Quanto ha influito Assolombarda sul sistema Milano?
"È la storia, con le sue complessità. Ma qui sta il 36,4% delle multinazionali estere in Italia, che contano per il 43% del fatturato. Qui sta il 13,4% del pil italiano... Far volare Milano significa far volare l’Italia. Questa ricchezza non è fatta solo di conti, ma di sapere. Più che un modello, un pezzo del tessuto che tiene insieme il Paese".
Più Europa che Italia?
"No, una vicenda molto italiana, per la sua capacità di integrare in modo creativo. Di essere crocevia di rotte, di creare novità. Pensi al Codice Atlantico di Leonardo, un milanese d’adozione: la pulizia dei suoi ingranaggi, la bellezza delle sue macchine sa già di meccatronica, della capacità di tenere insieme discipline diverse. Non a caso al Politecnico di Milano gli ingegneri studiano Filosofia...".