
"Escivo de casa cor pallone sotto braccio /‘E scarpe mezze rotte…dopo me l’allaccio”". Ha iniziato così, quasi per gioco, nel...
Roma, 14 marzo – "Escivo de casa cor pallone sotto braccio /‘E scarpe mezze rotte…dopo me l’allaccio”". Ha iniziato così, quasi per gioco, nel 2010, quando ha cominciato a scrivere poesie su carta e, soprattutto, sui muri di Roma. E da allora non s’è più fermato. A dirlo infatti è proprio la Città Eterna, tappezzata da decine di versi colorati che hanno un’unica firma: Er Pinto.
Lui, dal canto suo, si definisce un poeta di strada, ma ha anche diversi progetti in ballo che ne fanno un artista a tutto tondo. Come ‘La poesia non si spiega’, uno spettacolo itinerante che racconta la biografia dei suoi versi più intimi. Di libri ne ha scritti più d’uno: “Metroromantici”, una raccolta dei cosiddetti Poeti der Trullo (progetto da cui si è poi smarcato); “Il peso delle cose” (2017) e “Mal di mare” (2020). Di lui s’è accorto anche Carlo Verdone, che, passeggiando nel cuore di Trastevere, ha scoperto una sua poesia e l’ha riproposta in un post sul suo profilo Facebook: "Baciami/le lacrime/che scendono/ per te". Con un finale che lascia sperare: "C’è ancora vita a Trastevere". E forse è vero. "Perché – spiega Er Pinto – le mie poesie sono messaggi in bottiglia lasciati per strada, e il messaggio è: diamoci un mano". E ‘volemose bene’, si potrebbe chiosare in romanesco.
Pinto, a cosa pensa quando scrive le sue poesie?
"I temi sono universali: amore, storie comuni. Ma talvolta i miei sono anche versi di denuncia. La politica è un argomento che mi intriga molto, e mi piace parlarne anche facendo satira".
E Roma in effetti si presta molto a questo tipo di attività poetica…
"Direi proprio di sì. Abbiamo una tradizione che contempla giganti come Belli e Trilussa, ma anche poeti meno conosciuti come Durante e Pascarella. Roma alla fine è un mix tra un graffito e una pasquinata. Il che ci riporta addirittura al ‘500…".
Le sue poesie sono anche su carta. Che differenza c’è tra queste e quelle di strada?
"Le poesie di strada sono più istintive e pungenti, almeno nel mio caso. Direi anche più dirette, per via dell’effetto grafico. Ma in fondo accade lo stesso anche quando sono all’interno di un libro. E poi le poesie si possono scrivere in tanti altri modi…".
Per esempio?
"Anche in musica. A me piace farlo, infatti collaboro con diversi artisti. Del resto, sono cresciuto ascoltando mostri sacri del rap romano come i Cor veleno e i Colle der fomento…".
Cosa rende poetica una canzone?
"Il testo deve seguire regole stilistiche precise, una certa metrica insomma. E le rime ci stanno sempre. Ma conta soprattutto il messaggio che la canzone riesce a trasmettere. Che deve essere universale. Ma soprattutto: una canzone deve far emozionare. Allora è poesia. Ce lo insegna un maestro come De André".
Anche Carlo Verdone si è accorto di lei. Che effetto le fa?
"Verdone è un monumento vivente di Roma. Perciò mi ha fatto un grande regalo. Mi è piaciuto soprattutto il messaggio del suo post: “C’è ancora vita a Trastevere”. Merito della poesia, che è arte pura".
Lei è anche un artista di strada: cosa distingue l’arte dall’atto di vandalismo?
"Tutto sta negli occhi di chi guarda. Ma quando estetica e tecnica si uniscono è arte vera e propria".