
Raffaele La Capria (1922-2022), scrittore e saggista napoletano. Nel 1961 vinse il Premio Strega con il suo secondo romanzo, Ferito a morte (Bompiani)
Il nuovo romanzo di Elisabetta Rasy Perduto è questo mare (Rizzoli) non è un’autobiografia né un libro di ricordi: è "un atto della memoria intesa come capacità di conoscere la realtà, di evocare delle figure, la memoria plastica che costruisce una narrazione, quella che ispirava i poemi antichi e dalla quale traiamo sempre il materiale con cui costruire un’immagine, un’opera, una storia". Ricordare come evocare, ricostruire, anche ricucire e cercare le crepe dalle quali entra la luce nelle esperienze, anche dolorose, della vita.
Rasy narra il rapporto con l’amico e maestro Raffaele La Capria in parallelo a quello con il padre, in una Napoli abbagliante e simbolo della perdita. La vita è cercare le pietruzze d’oro.
Elisabetta Rasy, la memoria è strumento per evocare rapporti e relazioni?
"Il romanzo indaga i legami, i rapporti accaduti e quelli che ognuno sceglie per sé. Al centro di quello tra me e La Capria c’è sempre stata Napoli, una città perduta che entrambi fummo costretti a perdere, io da ragazzina e lui da giovane uomo. Il nostro rapporto si è fondato su questo mare perduto".
I rapporti narrati nel romanzo sono essenziali anche nella loro assenza.
"Narro la complessità ma anche la tenacia dei rapporti tra le persone, che siano d’amore, d’amicizia, di parentela. Questo tipo di analisi, questo lavoro di comprensione e ricucitura, è un po’ il lavoro delle donne, gli uomini tendono a lasciarsi tutto dietro le spalle, a rimuovere".
Fin dall’inizio lei e La Capria condividevate la certezza che "la terra promessa è sempre una terra perduta".
"Entrambi ci siamo trovati come due esuli dalla nostra terra, luminosa e desolata. La nostra amicizia ha sempre riguardato questo distacco obbligato".
La vostra amicizia si sviluppa in parallelo al rapporto con suo padre.
"Dopo essermi occupata, nei miei libri, di molte figure femminili, era ora di affrontare il fantasma di mio padre, che aleggiava su di me. Mi interrogo molto sul rapporto con lui, non a caso richiamo le figure di Kafka, autore di quella Lettera al padre che fu da lui composta ma che non ebbe mai il coraggio di consegnargli, ed Enea, sia perché la separazione da mio padre avvenne quando stavo leggendo a scuola l’Eneide sia per il rapporto con Anchise".
"Che farsene del dolore annidato nel passato?", si chiede a proposito della discesa agli inferi di Enea.
"Come Enea, nessuno di noi vorrebbe scendere agli inferi, che non sono ovviamente un luogo esterno ma quelli dentro di noi, la nostra zona oscura del passato, il mondo controverso delle radici; però siamo obbligati a farlo perché non si può evitare di confrontarsi con la propria origine. La ragazzina che crede di aver dimenticato il padre perduto, s’inganna, e nell’amicizia con Raffaele, l’uomo che viene da Napoli e porta con sé delle perdite, può trovare un appoggio. Col passato bisogna cercare di fare i conti, anche se poi i conti non tornano mai".
Le domande che si pone la bambina sono universali rispetto a un distacco.
"La separazione, la perdita è resa un po’ plasticamente anche con l’immagine del mare perduto, della città perduta che al contempo diventa un’eredità. È difficile non mettere a confronto le due figure maschili. Il padre è connesso a un vissuto doloroso, Raffaele è la figura del maestro, che insegna e guida con il suo esempio. Non sono due figure in antitesi, un sommerso e un salvato, hanno entrambi una parte di luce e una parte d’ombra, e il mare è la parte di luce di entrambi. Credo che per ogni storia, in particolare quelle familiari, sia necessario cercare le pietruzze d’oro, soprattutto dove si pensa non possano esserci. Anche in un passato doloroso che si rischia di sprecare tormentandosi nel risentimento".
Da questo punto di vista è esemplare la figura di Etty Hillesum, che lei ha raccontato nel libro Dio ci vuole felici.
"Una donna incredibile, che fu portata ad Auschwitz ma che già prima, nella sua vita ad Amsterdam, ancorché perseguitata, seppe vivere pienamente la sua giovinezza, la sua vita amorosa, senza mai, con tutto quello che le succedeva, perdere la vitalità. Il diario di Etty, le sue lettere, trasudano un amore per la vita straordinario, era una persona priva di risentimento".
La Napoli di quell’epoca è l’immagine delle illusioni perdute, "un incrocio di rifiuto e di rimpianto".
"La Napoli della quale parlo è una città dalla quale tutti se ne andavano, tagliata fuori dalla modernità, dall’economia dinamica del dopoguerra. Si configura così la nostalgia, la condizione dell’esule: anche se la vita funziona, egli rimpiange la terra perduta".
L’amore è ciò che ci salva?
"Raffaele mi citò una frase da Il ponte di San Luis Rey di Thornton Wilder, e che riporto nel libro: “Presto moriremo, saremo amati per qualche tempo ancora e poi dimenticati. Ma l’amore sarà bastato; e tutti gli impulsi dell’amore ritornano all’amore da cui sono venuti. Nemmeno i ricordi sono necessari all’amore. C’è una terra dei vivi e una terra dei morti, e il ponte è l’amore...“"
Il suo romanzo è tra gli ottantuno libri selezionati per il Premio Strega.
"Non so che dirle, aspettiamo".