Martedì 16 Luglio 2024
CHIARA DI CLEMENTE
Libri

Elena Ferrante celebrata negli Usa e snobbata dalle nostre élite: il paradosso italiano

L’’Amica geniale’ primo nella classifica dei romanzi più belli del XXI secolo del New York Times, stilata da scrittori e critici: ma se un sondaggio simile fosse stato fatto da noi, il risultato sarebbe stato lo stesso?

Gaia Girace (20 anni) e Margherita Mazzucco (21 anni), Lila e Lenù nella serie tv tratta dall' "Amica geniale" di Elena Ferrante

Gaia Girace (20 anni) e Margherita Mazzucco (21 anni), Lila e Lenù nella serie tv tratta dall' "Amica geniale" di Elena Ferrante

Firenze, 14 luglio 2024 – Ci si chiede – lo ha anticipato ieri sulle pagine del “Qn” la scrittrice Simona Baldelli –: se un sondaggio simile a quello del New York Times fosse stato fatto in Italia, affidato alle nostre élite intellettuali, l’’Amica geniale’ di Elena Ferrante sarebbe mai stata eletta numero 1?

Ieri l’altro il prestigioso quotidiano ha eletto il primo romanzo della quadrilogia edita in Italia da e/o dal 2011 al 2014, "il più bello dei 100 libri del XXI secolo", pubblicati dal 2000 a oggi, stando alle scelte di una giuria di 503 personalità tra romanzieri, poeti, saggisti, critici, tanto per citane alcuni: Stephen King, Claudia Rankine, James Patterson, Karl Ove Knausgård, Thomas Chatterton Williams, Roxane Gay, Marlon James, Jonathan Lethem. (Cui va aggiunta anche – forse pure bizzarramente – la Carrie di “Sex And The City” Sarah Jessica Parker). Notizie nella notizia: Ferrante è la sola italiana tra i 100, compare con altri suoi due libri (“I giorni dell’abbandono”, 92°; “Storia della bambina perduta”, 80°) ma soprattutto, Ferrante ha battuto maestri del calibro di Philip Roth (in top 100 con “La macchia umana” e “Il complotto contro l’America”) ; tre Saunders, Jon Fosse e Kazuo Ishiguro, due Bolaño (“I detective selvaggi”; “2666”), “Espiazione” di McEwan, “Austerlitz” di Sebald, “La strada” di Cormac McCarthy, “Le correzioni” di Franzen. E tra le donne, ha lasciato dietro di sé: Cusk (“Resoconto”), Zadie Smith e Toni Morrison, due Munro (“Nemico, amico amante...”; “In fuga”), Tartt (“Il cardellino”); “Olive Kitteridge” di Elizabeth Strout; “L’anno del pensiero magico” di Joan Didion, “Gli anni” di Annie Ernaux.

Roba da non credere, se non fosse vera. Roba da non credere, se non fosse vera. Motivabile con il veloce ripasso di tutte le analisi della Ferrante Fever che ha contagiato gli Usa negli ultimi anni e che si riassumono più o meno nei seguenti fattori: la brillante traduzione inglese delle opere di Ferrante curata da Ann Goldstein, editor nel “New Yorker”; la consacrazione già nel 2013 con l’articolo del “New Yorker” in cui James Wood analizzava l’opera omnia di Ferrante compresi i primi libri: “L’amore molesto”, “I giorni dell’abbandono” e “La figlia oscura”, non a caso diventato poi nel 2021 un film diretto dalla statunitense Maggie Gyllenhaal, interpretato dalla premio Oscar Olivia Colman e candidato a tre Academy Awards, compreso quello per la sceneggiatura; ebbene, nell’articolo, Wood sottolineava già da allora, con entusiasmo, soprattutto la costanza con cui Ferrante, fin dall’inizio, si è dedicata prima di tutto all’esplorazione della vita interiore delle ragazze e delle donne, del loro ruolo nella società, nella famiglia, e dei rapporti tra loro e gli uomini. Aggiungiamo che la serie tv dell’Amica geniale è una produzione non solo Rai ma anche Hbo. Che l’ostinato non apparire della scrittrice è molto apprezzato in un mondo (social) in cui apparire è tutto ("Se ho mai voglia di affacciarmi alla finestra e urlare Ferrante sono io? – ha ricordato ieri una sua intervista il NYT – No. Sono timida. E poi vivo a un piano alto, e il vuoto mi fa paura”). E aggiungiamo ancora che il fascino del binomio Napoli-Italia è un classico intramontabile del patrimonio atavico, dell’immaginario e del turismo Usa: il gioco è fatto. O quasi.

Perché in realtà il fresco importante riconoscimento del New York Times alla Ferrante non si impone tanto come “caso made in Usa“, ma apre piuttosto un non trascurabile paradosso italiano. L’autrice la cui identità rimane (abbastanza) misteriosa, comunque protetta dal nom de plume (quindi dall’anonimato) e dall’invisibilità, in Italia vende tantissimi libri, è amatissima dai lettori (e dai telespettatori della fiction da lei ispirata). E poi?

Premi vinti, da noi? Selezionata due volte allo Strega: ’92, "L’amore molesto”; 2015, “Storia della bambina perduta”: bottiglia di liquore giallo stappata (pure nel chiuso della sua cameretta): nessuna. Campiello? Non pervenuto. Tra gli amici degli amici che si scrivono recensioni entusiastiche a vicenda, e nei salotti tv e sui palchi dei festival dibattono l’uno con l’altro dei reciproci libri che o sono più che bellissimi o sono molto più che bellissimi, chi mai ha detto: ehi ragazzi, sapete cosa? Forse è la Ferrante la nostra numero 1. Chi pubblica i suoi articoli? In Italia chissà, di certo li trovavi su “The Guardian”.

“Un Kolossal cinematografico: puro kitsch”. Creato da una “scrittrice mediocre”. Un libro, firmato da una donna e baciato da un successo commerciale notevolissimo, “controcorrente, d’ispirazione anarchica e di grande leggibilità. Per moltissimi lettori il romanzo si presenta come una liberazione da opinioni conformiste e costituite. Ma in altri ambienti, nell’establishment, quell’onda di consensi è sentita come un pericolo”. L’autrice? Fa “concorrenza sleale”. Sono cronache del 1974: a definire “cinekolossal kitsch” il capolavoro "La Storia” di Elsa Morante è Asor Rosa; il giudizio sulla Morante “scrittrice mediocre” è di Nanni Balestrini. La ricostruzione del “contesto” di plausi del pubblico e critiche di intellettuali è – ovviamente – tratta da Cesare Garboli. E nel 2015, la Ferrante ebbe a dire: “Il romanzo per me fondamentale è della Morante, “Menzogna e sortilegio”. È il libro grazie al quale ho scoperto che una storia tutta femminile – tutta di desideri e idee e sentimenti di donna – poteva essere avvincente e, insieme, avere una grande dignità letteraria”.

E rieccoci al tema: grande dignità letteraria. Scrive Ferrante nel suo saggio “I margini e il dettato”, citando Bachmann (“Si può di tanto in tanto trovare la qualità anche nella poesia di un uomo qualsiasi”): “È così, chiunque può fare qualcosa di buono, con la scrittura, sotto gli spintoni del mondo, ma un poeta è davvero inevitabile solo quando riconosciamo nella sua opera un unico e immodificabile universo di parole, figure, conflitti. Penso che sia giusto marcare la differenza tra una bella poesia, un romanzo piacevole e l’opera di un autore o un’autrice inevitabili. È una differenza fondamentale per le sorti della letteratura...”. “Oggi penso che se la letteratura scritta da donne vuole farcela ad avere una scrittura sua di verità serve il lavoro di ognuna – continua – . Dobbiamo rinunciare alla distinzione tra chi fa solo libri medi e chi fabbrica universi inevitabili. Contro la lingua cattiva che storicamente non prevede di accogliere la nostra verità, dobbiamo confondere, fondere i nostri talenti, non un rigo va perso nel vento. Ce la possiamo fare”. E ricorda Dickinson: “La stregoneria fu impiccata, nella Storia, ma la Storia e io troviamo tutta la stregoneria che serve intorno a noi, ogni giorno”.

La quadrilogia della Ferrante è una "Storia” della Morante scritta oggi, è un “Novecento” di Bertolucci in cui al posto di Olmo e Alfredo e dei fascisti e dei comunisti ci sono queste due amiche, Lila e Lenù, protofemministe in un mondo di maschi ignoranti e violenti, ragazze che affidano non solo alla genialità “naturale” ma anche alla genialità costruita con studio e dolore, il proprio riscatto politico e sociale. La scrittura della Ferrante contiene una voce, senza artificio, da leggere e rileggere, di madre in figlia, di padre in figlio, perché racconta la nostra recente storia d’Italia e la nostra vita. Spiega la vita. Forse la trasforma. Lila e Lenù non sono un io: sono un noi, sono la Storia. Letteratura inevitabile.