Bologna, 11 agosto 2024 – C’erano una volta i grandi industriali italiani. Imprenditori sempre in prima linea, maître à penser, politici di fatto, simbolo di un’Italia in crescita e di una produttività che aveva felicemente abbandonato la dimensione locale per lanciare i propri capitali come un paio di dadi sullo scacchiere dei mercati internazionali. La crisi di inizio Duemila ha spazzato tutto, o perlomeno così si sembrava. Perché il terreno in provincia è rimasto fertile e i ceppi familiari, un po’ malconci nella chioma, in realtà avevano radici solide e profonde. Così la pianta è rinata, seppure con caratteristiche ben diverse.
Lo racconta mirabilmente Roberto Mania in un libro intitolato "Capitalisti silenziosi”, nelle librerie per Egea. Un viaggio in giro per l’Italia a testimoniare quanto il mito di un capitalismo anonimo e multinazionale che sembrava doversi mangiare tutto in un sol boccone, si sia scontrato poi con la resilienza delle care e vecchie famiglie di capitale. Certo, in compenso, la quinta generazione ha cambiato testa, pelle e soprattutto cognomi. Ecco allora i “capitalisti silenziosi“ di Mania: sono i Vacchi, i Bonfiglioli, i Rana, i Bombassei. Hanno ereditato un’impresa piccola e l’hanno resa mondiale, pur senza snaturarla. Nutrendola di tecnologia e di digitale e imparando a competere con le multinazionali e con i fondi di investimenti, pur rimanendo ben saldi nello stesso luogo dove nonno e papà avevano messo su la struttura mattone dopo mattone. E sopratutto non hanno avuto paura di condividere il timone con un management esterno, preparato e agguerrito con cui ibridare potenziare la genetica di famiglia.
Sono silenziosi, ci dice Mania, perché non vanno in tv, non esprimono pareri politici, non sono i protagonisti del dibattito. Lavorano, e scusate se è poco, perché nel frattempo danno lavoro. Lo testimonia questo viaggio fatto di fabbriche, di visioni, di missioni e di realtà rimaste aperte anche negli anni turbolenti del Covid e delle crisi sempre più frequenti. "Cercavamo l’America e abbiamo ritrovato l’Italia", scrive Mania. Probabilmente ha ragione.