Lunedì 31 Marzo 2025
FABRIZIO LUCIDI
Libri

Con Kincaid a passeggio sull’Himalaya: "Nel mio giardino di pace e demoni"

La scrittrice in Italia: “Da sempre tra piante e fiori prima trovo la quiete, poi è un incendio di pensieri”

Jamaica Kincaid

Jamaica Kincaid

Milano, 27 marzo 2025 – Jamaica Kincaid: Passeggiata sull’Himalaya, un viaggio coraggioso e pieno di avventure ma anche di disagi nasce dal suo amore per il giardino. Cos’è il giardino per lei?

"Una delle grandi influenze sulla mia scrittura è la Bibbia di Re Giacomo. L’isola dove sono cresciuta è considerata un paradiso, ma solo da chi la visita come turista, non da chi ci vive. E in fondo il Paradiso cos’è? Inizia con un giardino, in molte mitologie, ed è un luogo dove non esistono difficoltà: nessun pensiero, nessuna zanzara, nessuna ape anche se scorre il miele. È uno stato di morte, in realtà. Quando penso al Paradiso penso a un Mausoleo, privo di vita. Tutti noi sogniamo il Paradiso, che di fatto non solo non esiste, ma è una convenzione. Anche il Giardino è qualcosa che si costruisce e che si oppone alla natura, ha dei confini, un ordine, un disegno, pensate ai Giardini all’italiana. E quando arrivo in un giardino, a partire dal mio, vivo emozioni contrastanti: in un primo momento mi rassereno, il giardino come luogo di quiete e pace e bellezza. Ma se mi inoltro in esso, inizio a pensare, a progettare cose da fare, lavori e vengo presa da una specie di demone. È un po’ come essere nel mezzo di un incendio tante sono le cose che mi vengono in mente. Il giardino è il luogo dove organizzo i miei pensieri".

Il giardino ritorna in moltissimi dei suoi libri, non solo in Passeggiata sull’Himalaya, anche in Mio fratello e Autobiografia di mia madre. Il giardino è legato a Antigua, la sua terra natia e alla sua famiglia?

"Decisamente. Antigua era il Giardino Ideale. Mia madre aveva un dono per piantare e coltivare, il suo era un istinto naturale. Mia madre è morta nel 1999 e, l’ultima volta che sono andata ad Antigua, il banano che lei aveva piantato stava cominciando a dare i frutti. Quando fa i frutti, il banano muore, ma ne nasce un altro. Così mio fratello aveva questo dono, io no. E difatti non avevo nessun obiettivo quando ho iniziato a creare il mio giardino. Ho iniziato senza aspettative, non pensavo sarebbero arrivati risultati, pensavo a quello che volevo imparare e approfondire, anche sbagliando, ma non a ottenere qualcosa".

Anche l’America che lei racconta in Lucy poteva rappresentare una Terra promessa? Un giardino in cui crescere e mettere radici? E ora com’è diventata l’America di Trump?

"L’America di Trump è una maledizione. Forse ai miei tempi, quando arrivai giovane, mandata da mia madre a sedici anni a lavorare negli Stati Uniti, forse anche allora esisteva la stessa fame di denaro, ma tutto questo non era ancora elevato a idolo come oggi. Negli Usa oggi il solo valore è arricchirsi, l’unica speranza è far soldi. La definizione dell’inferno".

Consiglierebbe a qualcuno oggi di andare negli Stati Uniti?

"No, da qualche giorno sono in Italia e continuo a dire a tutti di non venire ora negli Stati Uniti. Viaggiare resta una cosa importantissima, bisogna andare e vedere con i propri occhi a costo di tornare profondamente cambiati. Sono andata a vedere la mostra dedicata a Caravaggio a Palazzo Barberini a Roma, ne sono uscita profondamente turbata".

Nei suoi libri ha scritto della sua famiglia, di sua madre, della malattia e morte di suo fratello, del suo divorzio. Come ha reagito la sua famiglia? Si sono sentiti disturbati?

"Mia madre ha sempre detto di non leggere i miei libri. Del resto io avevo cercato uno pseudonimo per non farmi riconoscere, mai avrei immaginato che un giorno sul mio passaporto avrei fatto scrivere Jamaica Kincaid. Sì, la mia scrittura ha sottolineato crepe nei miei rapporti familiari, che però preesistevano e che la mia scrittura ha solo evidenziato. Alcuni mi chiedono se la mia è autofiction. Non posso definirla così perché non provengo da una cultura letteraria che distingue tra saggistica e narrativa. C’è solo prosa o poesia. Sapevo che non avrei mai scritto poesia perché non sono in grado, i miei libri mi sembra abbiano la forma di un romanzo. Tutto quel che scrivo è vero, ma nei romanzi gioco con le cose e uso un certo stile. E non scrivo per intrattenere ma per disturbare, ossia pensare".

Si dice che arte, cultura, letteratura possono farsi barriera di resistenza alla barbarie…

"Non darei loro questo fardello... Non ce l’hanno mai fatta. Pensate ai Romani, ai Greci, alla Germania anni ’20. Possono registrare, ricordare, tramandare la barbarie, non impedirla".

Vincerà il Nobel?

"Non so come sono nella lista dei favoriti – ride –. Gli scrittori dovrebbero continuare a custodire in segreto quello di cui sono portatori e liberarlo nei libri. Conta quel che scrivono e non loro. Purtroppo non succede, e talvolta vengono uccisi".