"Non chi comincia ma quel che persevera". È il motto scritto con lettere in bronzo sul ponte dell’Amerigo Vespucci, la nave-scuola della Marina militare italiana, il veliero per eccellenza. E Come vento tra le vele è il titolo dell’ultimo libro della scrittrice italiana tedesca Sibyl von der Schulenburg (Sperling & Kupfer editore) che narra la rotta di un amore immenso, uno di quelli che il Destino decide di far vivere oltre la morte.
Lui è il capitano di vascello Francesco Carlo Bottoni, livornese, in carica dall’ottobre 2003 all’ottobre 2004. Lei è un’avvocata, Lorenza Mel, veneziana. La scintilla scocca da un incontro casuale a un convegno; da qui l’incendio a bordo dei loro cuori che li cambierà per sempre. Laddove “per sempre” s’intende oltre la morte di Francesco in seguito a un tumore. Non si fraintenda la parola romanzo: la storia è tutta vera. Entrambi hanno già un matrimonio alle spalle, ma le cicatrici non impediscono all’amore di imporre la sua signorìa e di durare in eterno. Un amore che ha anche la forza e l’aspetto di una tigre del Bengala (incredibile ma vero!), potente tramite fra chi resta e chi, pur non essendoci più, continua a parlarci attraverso quegli occhi, quel respiro, quei movimenti.
Sibyl, lei ha scritto romanzi storici, saggi, proviene da studi di Giurisprudenza e Psicologia. Perché adesso raccontare questa vera storia d’amore?
"Ho scritto psicoromanzi, provengo da due autori tedeschi di romanzi storici e mi dicevo che mai avrei scritto un romando d’amore. Invece mi è capitato spontaneamente. Mi sono messa in testa questa cosa quando è morto Francesco, ma non l’ho buttata giù subito. Fu la mia amica Lorenza a chiedermelo: “Perché non scrivi la nostra storia?“. E allora l’ho fatto, mi sono sentita libera".
Perché proprio il Vespucci?
"Perché ho conosciuto Francesco quando ne era il comandante. Ho navigato con loro spesso come ospite. Ho frequentato il veliero meraviglioso, me ne sono innamorata... Ecco, è una storia d’amore anche quella per il Vespucci".
Che uomo è Francesco?
"Un uomo molto complesso, più di quanto lo abbia potuto descrivere. Però si divertiva tanto. Era un militare, ma sapeva anche non esserlo. Si era costruito diversi mondi anche in base alla sua educazione: livornese, figlio di un imprenditore noto in città, in casa comandava la madre. Lui è stato bene in tutti i mondi che ha frequentato, sapeva quello che voleva. Lo hanno amato, stimato, apprezzato come comandante".
E Lorenza?
"Lei ha avuto tanta pazienza, come moglie di un ufficiale di quel tipo. Che dire... Lui era un bell’uomo, con la divisa, sempre in giro per il mondo, sapeva far divertire le donne... Lorenza sapeva che prima o poi ne poteva spuntare una in un porto chissà dove e allora sì, certo, ci vogliono forza e pazienza".
"Non chi comincia ma quel che persevera": lei crede nel mòtto del Vespucci?
"Sì, io ci credo. Non al cento per cento perché ho fatto impresa per trent’anni e so cosa vuol dire cominciare un’impresa. Ma dico che chi perservera raggiunge sempre il traguardo".
Secondo lei, fra le nuove generazioni è possibile un amore così?
"Forse sì. Oggi si esprime in maniera diversa. Dopo il passaggio di Freud, che non ha lasciato soltanto cose buone, l’amore si è sbragato un po’. Pensi al verbo “to love“ preso dall’inglese e che ormai ha contaminato tutte le lingue: si usa la stessa parola sia che si ami il cane, sia che si ami la moglie o il marito... Si svuota il vocabolo. Ma io credo che sia possibile un amore come quello di Francesco e Lorenza. Va riconosciuto e va dato il nome giusto. Ho fatto anche Psicologia e la cosa che più ho capito è che bisogna sapere etichettare emozioni e sentimenti. È necessario non perdere il linguaggio".
È necessario crederci. Crederci oltre ogni limite terreno.