Martedì 16 Luglio 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

Casa Deledda e la montagna magica. Il microcosmo di una grande scrittrice

L’Orthobene e la chiesetta della Madonna della solitudine, luoghi dell’anima di un’autrice ancora incompresa .

Casa Deledda e la montagna magica. Il microcosmo di una grande scrittrice

Casa Deledda e la montagna magica. Il microcosmo di una grande scrittrice

“L’Orthobene sorgeva al di sopra dello stradale grigio e roseo sul cielo cinereo”: le parole scritte in colore turchese sullo sfondo bianco della targa dai contorni irregolari, accolgono il passante a pochi metri da casa Deledda, e sono un buon viatico per entrare nel mondo della scrittrice sarda, che la “sua“ montagna non abbandonò mai, nemmeno quando lasciò la Sardegna. L’Orthobene, scritto con l’acca in limba sarda, è il monte che incombe sopra Nuoro, città silenziosa, anch’essa un po’ cinerea, appollaiata sulle cime di un colle irsuto. Proprio alle pendici della montagna, a ridosso del centro urbano, sorge la chiesetta della Madonna della solitudine, luogo caro alla scrittrice, e da lì si può partire per raggiungere a piedi casa Deledda, nel vicino quartiere di San Pietro. La scarna, graziosa chiesetta ospita dal 1959 le spoglie della nuorese più conosciuta al mondo; il sarcofago di granito nero, realizzato dallo scultore Mario Ciusa, per la sua sobrietà e il suo stesso colore, restituisce una certa idea della Deledda, legata a un’iconografia d’altri tempi, alla Sardegna rurale e ancestrale, con le donne coperte da pesanti indumenti neri, in perenne lutto.

Pur legatissima alla sua isola, fonte inesauribile d’ispirazione letteraria, Grazia Deledda non era però una donna sottomessa e non corrispondeva affatto allo stereotipo della donna sarda taciturna, chiusa, proiettata nel passato. Aveva anzi lottato per inseguire il suo doppio sogno: scrivere, e approdare a Roma, la capitale, il luogo dell’emancipazione personale e artistica. Ciò che per una ragazza nata in Barbagia nel 1871, oltre che impossibile, pareva impensabile. C’è una registrazione che ci permette di ascoltarla a viva voce – una voce grave e ferma – nel racconto della sua giovanile passione: "La mia famiglia è composta di gente savia, ma anche di violenti e di artisti primitivi; aveva autorità e aveva anche biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere a 13 anni, fui contrariata dai miei. Il filosofo ammonisce: se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo sulla strada dei monti. Se lo trovi nella poesia un seconda volta, puniscilo ancora. Se lo fa per la terza volta, lascialo in pace, perché è un poeta. Senza vanità, anche a me è capitato così".

Grazia Deledda diventò scrittrice molto presto, con alcuni racconti che riuscì a pubblicare su riviste letterarie cui inviava i testi e anche ripetuti solleciti, con una tenacia che avrebbe mantenuto per l’intera vita. E approdò a Roma nel 1900, dopo il fulminante incontro, avvenuto a Cagliari, con Palmiro Madesani, il compagno della sua vita, all’epoca in Sardegna come funzionario statale.

Casa Deledda oggi è un museo e non è cambiata granché rispetto ai tempi in cui Grazia vi abitò. Era la casa di una famiglia benestante e numerosa (Grazia era la quinta di sette figli), distribuita su tre piani. Le ampie stanze sono ancora allestite con molti oggetti originali, altri sono stati ricostruiti con intenti filologici, come l’abito nuziale, descritto da Grazia al futuro marito in una lettera: “Il vestito argento lilla sarà guarnito di perle: figurati lo scintillio; ti offuscherò addirittura”. L’abito di taffetà, ritessuto con rigore artigianale, è ora esposto nella camera da letto al piano superiore.

Dalle finestre posteriori della casa, affacciate sulla montagna, senza alcun ostacolo alla vista, l’Ortobene appare come in certe pagine della scrittrice: “Si vedeva il monte, come in un quadretto melanconico, senza sfondo di cielo, e la luce cruda delle rocce nude dava un senso profondo di solitudine glaciale“. Deledda vinse il Nobel nel 1926 e fu un grande evento per la Sardegna, per l’Italia, per la nostra letteratura, sebbene resti sempre il dubbio se la scrittrice in patria sia stata davvero compresa, come ben la compresero in Svezia, dove gli accademici colsero la forza dei suoi romanzi: le profonde radici locali, ma anche la portata universale del racconto, della psicologia dei personaggi. Come disse l’arcivescovo Nathan Söderblom, membro dell’Accademia svedese, al pranzo d’onore a Stoccolma: "Nella sua opera letteraria, tutte le strade portano al cuore dell’uomo. Non ci si stanca mai di ascoltare con affetto le sue leggende, i suoi misteri, conflitti, ansie e desideri eterni".

In Italia Grazia Deledda è oggi poco menzionata, non troppo letta, quasi dimenticata, e ci vorrà probabilmente il centenario del Nobel, fra due anni, per rimetterla al centro della scena culturale, almeno per qualche mese. Silvia Sanna, nel suo libro Grazia Deledda. Il cuore scalzo (Morellini 2024) ne tratteggia la figura consegnando alla scrittrice il ruolo dell’io narrante, col pretesto narrativo di una lunga intervista a Stoccolma con un giornalista siciliano. Ne esce quasi una (auto)biografia. Grazia si racconta e appare per quel che era, una donna coraggiosa, capace di sfuggire alla subordinazione imposta dal patriarcato; una donna che amava il suo ruolo di moglie e di madre, ma che non defletteva dalla missione di scrittrice, dedicando almeno un paio d’ore quotidiane – nel pomeriggio – alla scrittura, ispirata da una vena creativa mai esaurita. Era a suo modo una rivoluzionaria: nel 1909 arrivò a candidarsi alle elezioni, nel collegio di Nuoro, contro il candidato governativo, pur in assenza del diritto di voto per le donne; si espresse anche a favore del diritto al divorzio.

Il libro di Sanna si chiude con un ideale abbraccio fra la scrittrice e il giornalista, uniti dalla comune esperienza della malattia, la stessa che si condensò nell’ultimo romanzo, La chiesa della solitudine (1936), protagonista una giovane donna malata di tumore al seno (proprio come l’autrice) e dedicato alla chiesetta ai piedi dell’Ortobene, il luogo dell’anima e del corpo di una grande scrittrice del ’900.