Roma, 12 gennaio 2025 – "Non hai armi, né milizie, né pistole (...) Sei pericolosa perché la tua forza sta nel raccontare la verità, smascherare le bugie (...). Vita senza libertà significa morte. Tu lo sai, e sai che la battaglia per i diritti delle donne in Iran rimbalza in tutto il mondo proprio attraverso il lavoro di donne come te": così Azar Nafisi ha scritto a Cecilia Sala, in un’accorata lettera pubblicata sulla Stampa il 30 dicembre scorso dedicata alla giovane cronista italiana rinchiusa per 21 giorni nel carcere di Evin, in Iran, e rientrata in Italia mercoledì.
Affermatasi sulla scena letteraria internazionale con Leggere Lolita a Teheran (Adelphi, 2004) – tradotto in ben 32 lingue e approdato da poco al cinema su adattamento di Eran Riklis – l’iraniana Nafisi è scrittrice simbolo dell’opposizione alla dittatura islamica. Costretta a lasciare il suo Paese, vive ora negli Stati Uniti e continua a battersi per l’affermazione della libertà attraverso il potere delle parole. "La grande letteratura, la grande arte, è profeta di verità. I regimi autoritari si costruiscono sulla menzogna. Per questo le prigioni, in Iran e nel resto del mondo, sono piene di autori, poeti, intellettuali. È importante che anche i lettori proteggano i libri. Dalla censura, dai roghi" ha detto dal palco della 25ª edizione di Pordenonelegge, lo scorso settembre.
L’anno scorso, Nafisi ha pubblicato in Italia il suo nuovo libro Leggere pericolosamente (Adelphi, traduzione di Anna Rusconi). Un nuovo inno al potere salvifico della letteratura, in cui si intrecciano racconto autobiografico e riflessione su alcuni titoli cari all’autrice, da Grossman a Bradbury, alla Atwood e molti altri. Il tutto racchiuso nella forma intima e potente di lettere al padre.
"Non volevo scrivere un saggio accademico sugli autori citati. Volevo raccontare alle persone cosa provavo io a riguardo. La buona letteratura coinvolge la testa ma soprattutto il cuore. I miei libri sono quasi sempre delle conversazioni. In questo caso, volevo creare un dialogo non solo tra me e un’altra persona ma anche tra fiction e realtà".
Perché la scelta del padre?
"Mio padre mi raccontava storie da quando avevo 3 anni. Le sceglieva sempre in modo “democratico“. Una volta mi portava in Inghilterra, con Alice nel paese delle meraviglie; un’altra volta nell’antica Persia con Firdusi; poi in America con La tela di Carlotta, in Danimarca con La piccola fiammiferaia e ovviamente in Italia con Pinocchio. Questo mi ha dato una grande lezione. Ho capito che pur restando nella mia cameretta a Teheran, l’intero mondo poteva venire a trovarmi. È ciò che fa la letteratura (la mia “Repubblica dell’immaginazione“): ti connette con te stesso ma anche con il mondo. È il solo spazio che trascende i confini imposti dalla realtà – nazionalità, lingua, etnia, religione, genere, razza – e crea un’unica comunità di lettori e scrittori, che si ritrovano a essere degli estranei intimi".
Suo padre Ahmad era sindaco di Teheran; con la presa di potere dell’ayatollah Khomeini, è stato incarcerato per quattro anni.
"Mio padre mi ha insegnato che tutto ciò che avevo poteva essermi sottratto in un batter d’occhio; per una guerra, una rivoluzione, un uragano o una buccia di banana sotto il piede. La vita è estremamente effimera, ma noi possiamo usare la letteratura e l’arte come custodi della nostra memoria. E la memoria diventa custode della vita. Non esagero quando dico che la narrativa mi ha salvato".
Lei è stata testimone della rivoluzione islamica. Prima di lasciare definitivamente il suo Paese, ha insegnato letteratura inglese all’Università di Teheran e ha vissuto sulla propria pelle le angherie del regime.
"Quando vivevo in Iran, non mi piacevo per niente. Al mattino mi svegliavo, indossavo l’hijab obbligatorio, mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo. La mentalità totalitarista non vuole conquistarci solo dal punto di vista dell’ideologia politica, vuole il nostro pensiero, la nostra anima. Un giorno, mentre andavo all’Università, vidi nel mezzo della strada una gru a cui ero appeso un uomo. Quanto eravamo caduti in basso se passavamo accanto a tutto ciò senza fare assolutamente niente? Quando portano via la tua identità, la tua dignità, la tua volontà individuale, ti inducono all’indifferenza. Ecco perché gli iraniani si nascondono per leggere, ballare, cantare e fare tutte quelle cose per cui una vita merita di essere vissuta".
Ma per lei l’Iran non è quello che vediamo oggi.
"La Repubblica islamica è convinta di aver fatto un buon lavoro nel convincere il mondo che le loro leggi siano parte della tradizione. Ora dico quali sono: matrimonio per le bambine a 9 anni, lapidazione per adulterio, poligamia; puoi affittare una donna da 5 minuti a 99 anni; e potrei continuare. Ma l’Iran, come l’Italia, ha una storia millenaria. Per noi è un insulto dire che queste leggi rappresentino la nostra cultura; è come dire che il fascismo rappresenta la cultura italiana, o la schiavitù quella americana. Ogni cultura ha qualcosa di cui vergognarsi e ogni popolo ha il diritto di cambiare e di sollevarsi contro la tirannia. Mio padre mi raccontava che il nostro Paese è stato invaso tante volte e ha perso moltissime cose, ma ciò che non ha mai perso è la poesia. La nostra identità di popolo iraniano è la poesia".
Ed è per questo che lei ringrazia la storia.
"Tuffarmi nel passato è stato un viaggio magico. Mi ha fatto scoprire che una volta l’Iran era bellezza, era felicità. La storia mi ha insegnato a essere gioiosa e ad avere speranza. C’è una cosa di cui devo ringraziare la Repubblica islamica: ho imparato ad apprezzare tutte ciò che il regime mi ha tolto. I capelli al vento, passeggiare mano nella mano con l’innamorato, mangiare un gelato per strada in libertà. Adesso, mi rivolgo al mio passato per poter godere a pieno del mio presente".
Trasferitasi definitivamente negli Usa, ha scritto Leggere pericolosamente durante la pandemia, sotto la prima presidenza Trump: ha potuto constatare i rischi che si corrono anche nelle democrazie occidentali.
"Quando si vive in democrazia si tende a darla per scontata, a credere che il mondo sia sempre stato così. Ci si dimentica di quante persone sono morte per costruire e proteggere le nostre democrazie. Ciò che ho notato vivendo in America, è che la gente si crogiola nelle comodità e nell’autocompiacimento. Prende alla leggera la libertà di parola, di associazione. Non si indigna abbastanza quando i libri vengono messi al bando o bruciati; non vuole essere turbata. Ma maledizione! La vita è scomoda, è disturbante. La letteratura ci sveglia dall’atrofia e ci insegna che non possiamo vivere bene senza essere mai infastiditi".