Lunedì 3 Febbraio 2025
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

Antonio Moresco: "Siamo una specie folle. Il buio ci aiuta a vedere, ma è ora di rovesciare tutto"

Il nuovo fluviale romanzo e la riedizione con nuovo titolo del pamphlet “Il grido“ "Solo noi, fra gli animali, abbiamo tendenze autodistruttive. Servirebbe una follia positiva" .

Antonio Moresco, 77 anni, ha debuttato intorno ai 50. Feltrinelli sta ripubblicando le sue opere. Ha fondato l’associazione di camminatori Repubblica nomade

Antonio Moresco, 77 anni, ha debuttato intorno ai 50. Feltrinelli sta ripubblicando le sue opere. Ha fondato l’associazione di camminatori Repubblica nomade

Firenze, 1 dicembre 2024 – Antonio Moresco è uno scrittore lunare, notturno, eppure fiabesco. Vive con sofferenza le rovine del nostro tempo, il suicidio della specie umana, e traduce tutto in romanzi, saggi, opere teatrali e perfino canzoni. Non somiglia a nessun altro scrittore. Quest’anno ha portato in libreria con Feltrinelli il fluviale romanzo Canto del buio e della luce e ora ripubblica il pamphlet Il grido del 2018 con un nuovo titolo, La specie folle.

Perché il nuovo titolo?

"Il grido a lungo andare mi è sembrato generico: si può gridare, a ragione, per mille cause diverse. Via via si è precisato il fatto di avere a che fare con una vera follia di specie. Certo, non tutti gli umani sono folli, ma come comportamento collettivo la specie umana, a differenza delle altre specie animali, sembra avere una componente autodistruttiva, di tensione mortuaria e suicida senza eguali. Il nuovo titolo è nato così".

Nella prefazione c’è però una porta aperta alla salvezza.

"Ho scritto la prefazione in due momenti diversi. La prima parte è più negativa, la descrizione del tempo che viviamo, la crisi climatica, le guerre e tutto il resto. Poi c’è una seconda parte che parla dell’aspetto positivo che può esserci nella follia. L’idea mi è venuta passando per Piazza dei Miracoli a Pisa. Mi sono detto: scusa, ma questa non è una follia? Nel 1200 si sono messi a costruire una cosa di questo genere, con le impalcature tenute insieme da funi, senza tecnologia, e hanno tirato su una meraviglia. Quindi erano mossi da una facoltà di osare, di esagerare, dalla voglia di uscire dall’ordine delle cose possibili. Allora ho pensato che se la follia è un tratto della nostra specie, qualche volta è stata usata a fin di bene, facendo cose che sembravano impossibili ma che erano giuste e meravigliose".

Occupandosi di emergenze e attualità, non c’è il rischio, per uno scrittore, di confondere letteratura e attivismo?

"Io ho sempre cercato di andare avanti tutto intero, per così dire, di non castrarmi in anticipo. In passato, molto spesso, tanti autori, anche i più grandi, sono entrati nel merito e nel vivo delle cose che accadono. Shakespeare, per dire, si occupava dell’Inghilterra del suo tempo, e non parliamo di Dante. Non riesco a immaginare come uno scrittore possa rimanere insensibile alla situazione tragica della nostra specie e limitarsi a fare degli esercizi di stile".

“Canto del buio e della luce” si regge sulla metafora del buio che cala sul mondo. Com’è nato?

"Alla base c’è il fatto che mi trovavo a disperarmi per la situazione che abbiamo di fronte. Non mi bastava limitarmi a elencare le ragioni per cui tutto quello che succede è assurdo e folle, avevo bisogno di compiere una sorta di scatto poetico. Così mi è venuta l’idea di dire che nel mondo sta scomparendo la luce, perché in un certo senso è quello che sta accadendo. Col buio ti trovi senza appigli e paradossalmente vedi di più le cose. Se sei in aperta campagna, al buio, vedi bene le stelle, se sei in una città illuminata non le vedi. Quindi avevo bisogno di fare buio per far vedere che stiamo dando per scontata la luce, il fatto che siamo in un piccolo pianeta che vive grazie a una stella di gas che brucia e ci illumina. Ma tutto questo scontato non è".

Il romanzo procede interrogando sul buio e sulla luce i personaggi più diversi.

"Spesso, preparando i miei romanzi, faccio delle inchieste, come si diceva una volta. Anche prima di ‘Canti del caos’, per dire, avevo parlato con economisti, pubblicitari e altre figure. Stavolta l’inchiesta è stata più ampia e soprattutto è entrata a far parte del libro stesso. Ci sono proprio i personaggi che ho interpellato. Scienziati, astrofisici, matematici come Guido Tonelli, Carlo Rovelli, Ignazio Licata , Fabrizio Tamburini, e poi nelle arti Nicola Samorì che scandisce con nove immagini il procedere del buio che inghiotte tutto e poi si rovescia nel suo contrario. Ci sono anche figure note ma forse inaspettate come il maestro Peppe Vessicchio, e poi persone che svolgono lavori cosiddetti comuni. Allora, che ne so, c’è l’ipnotista che dice: ‘Beh, è evidente, questo buio che ci avvolge è un’ipnosi collettiva’. E il teologo: ‘Eh, siamo tra l’ora sesta e l’ora nona, quando Gesù muore, calano le tenebre sul mondo e lui scende nel regno dei morti’… Queste voci mi permettono di mostrare ciò che non vediamo e di mettere in discussione tutti i nostri saperi. Insomma, ho voluto fare un un terremoto, un rovesciamento di zolla nell’osservare il mondo. Stiamo vivendo un momento nel quale o rovesciamo tutto o siamo perduti".

I registi Damiano e Fabio D’Innocenzo parlano spesso di lei.

"L’incontro con loro è stata una di quelle sorprese che ogni tanto succedono. Loro fanno film anche duri, come Favolacce, sul mondo che ci circonda, e su questo terreno è avvenuto l’incontro, la nostra reciproca elezione. Loro hanno la giovane età, il mistero della gemellarità, la voglia di stare su un terreno scomodo e drammatico, con un’idea del mondo che non fa sconti. Sono coraggiosi, e nell’Italia pavida di questi anni, quando incontri delle persone coraggiose, intransigenti, tiri un sospiro di sollievo".

Che progetti avete?

"Vorrebbero coinvolgermi in un progetto su Petrolio di Pasolini da scrivere insieme, ma ci sono state difficoltà sui diritti. Poi si sono invaghiti di Canti del caos, avevano amato molto Canto di D’Arco, vedremo…"

Lei ha scritto anche canzoni.

"L’ultima è una canzone sugli alberi per il nuovo album di Marco Rovelli, L’attesa. Lui aveva letto il mio Canto degli alberi... In passato ho fatto una canzone con Giovanni Truppi, intitolata Lettera a Francesco: le prime parole erano “Francesco scioglila”, sottinteso la Chiesa…"

Poi c’è il teatro.

"Ho scritto spesso per il teatro e ultimamente ho anche saltato il fosso: per uno dei miei testi, Il buio, sono stato anche regista. Lo spettacolo a debuttato a Bologna a marzo di quest’anno e sarà ripreso".

Perché queste incursioni fuori dalla letteratura?

"È che ho bisogno di momenti di incarnazione, con le parole che si trasformano in voce e in persone e movimenti, come accade con musica e teatro, ma anche in atti di testimonianza di un disagio, di un bisogno, di un sogno, come nei cammini che facciamo con Repubblica nomade. Io credo molto nell’esempio, perché non ti chiede niente, non ti colpevolizza, non ti obbliga a nulla e ti lascia libero di scegliere se seguirlo o meno. Guai se nel mondo mancassero gli esempi".