Lunedì 12 Agosto 2024
SILVIA ANTENUCCI
Libri

Antonio Franchini: "Il puzzo, la rabbia, il rancore: questa era mia madre. E il mio libro è il suo monumento"

Lo scrittore e curatore editoriale nella cinquina del Premio Campiello. Esplorando l’esistenza, la scrittura e i mali nazionali attraverso la figura dell’anti-mamma

Antonio Franchini: "Il  puzzo, la rabbia, il rancore: questa era mia madre. E il mio libro è il suo monumento"

Mother I, Yorkshire Moors, August 1985 #1: ritratto-collage di fotografie fatto da David Hockney alla madre (1985)

Roma, 11 luglio 2024 _  Angela puzza, non ha amica che rimanga come non permane in lei nessun sentimento che non sia la rabbia, con la quale cuoce a fuoco lento i propri pregiudizi insieme alla diffidenza, al rancore, "alle frittate sfilacciate e alle polpette solitarie in sugo casuale" che sostengono la sua unica fede, il cibo. Angela esagera, giudica, parla a sproposito, si appropria di meriti e titoli altrui. Prevarica, manipola, mette i figli uno contro l’altro, esercita su di essi "il controllo, sugli altri consanguinei la condanna". E "se non c’è proprio nessuno che si oppone è lei a contraddirsi, da sola, per non essere d’accordo neanche con se stessa".

Nonostante ciò Angela, soprannominata la Talpa e, in gioventù, il gallinaccio, conquista il lettore, che si ritrova travolto dal suo temperamento, dal suo linguaggio e dalle riflessioni che essa offre all’autore sull’esistenza, "neanche la vita che abbiamo vissuto possediamo, perché ognuno se la ricorda a modo suo", sulla memoria, sulla scrittura, "un romanziere non ha cose che non sa perché le inventa, e se sembra che non sappia qualcosa è perché finge", su ciò che resta di un legame dagli echi viscerali.

Antonio Franchini, curatore editoriale e autore del romanzo nella cinquina del Premio Campiello “Il fuoco che ti porti dentro” (Marsilio), si discosta quasi subito dal raccontare il rapporto "maldestro fino al fondo" con la figura della madre per lasciare spazio al personaggio di Angela (Carmela Candida) Izzo, colei che "non sa dimostrare l’amore e farsi amare", della quale vergognarsi e che incarna tutti i difetti nazionali: razzismo, qualunquismo, egoismo fino al trasformismo e "alla mezza cultura peggiore dell’ignoranza".

Ci si affeziona ad Angela malgrado Angela?

"Sì, per ciò che è e che vuole essere. Generalmente il villain, il personaggio negativo, può essere più simpatico e sfaccettato di quello positivo, è la regola aurea di ogni narrazione. Angela è un personaggio negativo ma non in maniera scontata, dotata di comicità e imbottita di luoghi comuni e pregiudizi che la rendono figura simbolo degli orrori del nostro Paese".

Angela poteva chiamarsi Italia?

"Angela è l’emblema di Napoli, forse un po’ del sud e del nostro Paese. Il coacervo di mali nazionali e i cliché che incarna sono tanti, come il disprezzo per tutti i rappresentanti della democrazia europea al quale sottende una logica che, a ben vedere, è oggi diffusa nel sottoproletariato reazionario ma risale al pensiero delle plebi di un tempo nel sud Italia".

Nel romanzo scrive che "per capire una persona vera, si può provare a raccontarla come il personaggio di un romanzo". E sua madre si trasforma rapidamente nel personaggio di Angela Izzo.

"Ognuno di noi è un personaggio se trova qualcuno che lo racconti. Angela ha coerenza, possiede una sua progettualità ostinata a diventare un personaggio, in questo condivide per esempio l’istinto genuino per la recitazione dei napoletani. Per il mio lavoro sono considerato il pioniere dell’Autofiction, un termine generico che, in quanto tale, non amo molto anche perché ritengo che il procedimento che si opera sui personaggi reali sia lo stesso di quello svolto su figure di fantasia, ammesso che esistano davvero personaggi di pura fantasia. Quando si lavora su un personaggio si fanno delle scelte, si opera una selezione, è un processo di finzionalizzazione dal quale non può emergere un ritratto vero ma solo uno finzionale".

Angela "ha interpretato una parte, esagerando i tratti di quella che era per assomigliare di più a quella che voleva essere". Essere se stessi, conoscere la verità su se stessi, è troppo per tutti e non solo per Edipo?

"Essere se stessi è una tensione, un percorso al quale tendere ma, di base, cerchiamo tutti di uniformarci a un’identità che ci piace e nella quale ci riconosciamo. Trovo legittimo anche voler essere qualcosa di diverso. Può trattarsi di un percorso di perfezionamento, per diventare migliori, o di nascondimento, per proibire a certe caratteristiche personali di emergere. Angela recita esasperando la sua insopportabilità ma finisce per superare il confine del gioco e perdersi".

La storia è disseminata di odori, "mi chiedo quanto abbia pesato su di me che l’odore di mia madre fosse una puzza e quanto abbia contribuito a un’avversione che dura da sempre"...

"È un romanzo sensoriale e carnale come Angela, donna materica e materialista. Credo che una particolarità della storia sia proprio che essa non si incentra sul rapporto madre-figlio e sulle dinamiche familiari, in realtà è un romanzo ben poco psicologico. C’è materia, il cibo, l’acqua, c’è una realtà ricondotta agli elementi sensibili. A un certo punto Angela sostiene di aver studiato Psicologia e Teologia, perché ha aiutato una delle figlie nello studio, ma in realtà è la persona meno psicologa e teologa del mondo, è la solita finzione".

Ci sono storie che si possono raccontare solo quando i protagonisti se ne sono andati per sempre?

"Certe volte sì, per tanti motivi e soprattutto per rispetto verso chi non c’è più, ma non è questo il caso. Essendo lei una donna priva di delicatezza non c’era bisogno di usarne nei suoi confronti alcuna".

Cito dal suo libto: "che il figlio fosse considerato scrittore scrivendo di lei le era sufficiente per inorgoglirla. E se lo avesse fatto dicendone male, questo non la toccava per nulla". Alla fine l’ha accontentata?

"Io credo di sì, il romanzo è un monumento alla figura di mia madre".

Il senso di una vita è quindi affidato al racconto altrui della propria storia? È questo che ha fatto per Angela?

"L’ho fatto ma con cautela, dico chiaramente che ciò che racconto è una versione di lei che non necessariamente coincide con la verità".

Dove finiscono i sogni dei morti sui quali riflette nel romanzo?

"La nostra vita onirica è, per quantità di tempo, quasi pari a quella vissuta. Ognuno di noi sogna molto, è una dimensione altrettanto intensa tuttavia, mentre la nostra esistenza reale permane almeno nella memoria di chi ci sopravvive, quella dei sogni scompare per sempre.