Lunedì 10 Febbraio 2025
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

Angelo d’Orsi: "Tutta l’attualità di Gramsci. Nelle sue idee una guida per capire la modernità"

La nuova monumentale biografia del pensatore sardo, letto e studiato in tutto il mondo "Egemonia, blocco storico, rivoluzione passiva sono concetti chiave per il nostro presente".

Antonio Gramsci (1891-1937) nel murale dipinto da Antonio Cotecchia a Firenze. Gramsci, deputato comunista, fu arrestato nel novembre 1926

Antonio Gramsci (1891-1937) nel murale dipinto da Antonio Cotecchia a Firenze. Gramsci, deputato comunista, fu arrestato nel novembre 1926

Il grande pubblico scoprì l’umanità, l’ingegno e il talento letterario di Antonio Gramsci grazie a un libro, Lettere dal carcere, che nel 1947 vinse il premio Viareggio. Poi sarebbero venuti – fra 1948 e 1951 – i Quaderni dal carcere, a mostrare il ricco e sfaccettato profilo intellettuale del pensatore e politico sardo, i cui scritti non smettono d’essere studiati in tutto il mondo. Angelo d’Orsi ha pubblicato una nuova versione del suo monumentale Gramsci. Una biografia (Feltrinelli).

Professor d’Orsi, è giusto dire che Gramsci è un pensatore di respiro internazionale?

"È così. Gramsci oggi è il pensatore politico italiano più letto e studiato al mondo dopo Machiavelli, ma prevedo che finirà per superarlo. Io stesso ho parlato di una “Gramsci Renaissance“, che ha avuto due momenti chiave. Il primo nel 1975, con l’edizione critica dei Quaderni dal carcere, che vengono proposti così come erano stati scritti e non nell’accorpamento tematico pensato da Palmiro Togliatti. In questo modo Gramsci viene svincolato dall’interpretazione ufficiale data dal Pci, e quindi riceve una nuova attenzione. Ma il momento più alto, il decollo di Gramsci all’estero, coincide con il 1989 e il crollo del sistema sovietico. Da lì comincia a livello internazionale la scoperta o la riscoperta di Gramsci, che dura tuttora".

Quali sono le ragioni di questa Renaissance?

"È dovuta al fatto che studiosi delle più diverse tendenze trovano in Gramsci degli strumenti per capire la modernità e trovano anche un culto speciale per la verità, io parlo addirittura di un’ossessione, e questo è proprio ciò che oggi manca davanti alle menzogne del potere, di qualunque potere. Dunque non c’è bisogno di essere marxisti, e nemmeno di sinistra, per condividere questa passione per la verità. Nel recupero di Gramsci emerge anche l’esigenza di un diverso modo di fare politica. La politica per Gramsci è fortemente intrisa di eticità, ha una base morale che coincide, appunto, nella ricerca della verità, che può essere scomoda e faticosa, ma alla fine, dice Gramsci, giova sempre a tutti. Questo è un insegnamento che è politico, culturale e anche morale".

Perché in Italia non c’è stata altrettanta Renaissance?

"In Italia ci sono i migliori studiosi di Gramsci, i quali però si trovano in un cerchio chiuso, non riescono ad andare sui media, non riescono, per dirla proprio con Gramsci, a fare un’operazione egemonica. Così Gramsci oggi è assente dal dibattito politico. E dire che ci sono dei passaggi nella sua opera che sembrano scritti per l’oggi".

Per esempio?

"Per esempio i concetti di egemonia, di blocco storico, di rivoluzione passiva. Berlusconi, per dire, ha fatto una rivoluzione passiva, e Giorgia Meloni sta facendo altrettanto. E ancora: oggi la destra, attraverso leggi che le garantiscono il dominio sui mezzi di comunicazione e sulle istituzioni culturali, sta cercando di costruire un’egemonia. Gramsci direbbe che si sta prendendo tutte ‘le casematte’ del potere culturale e mediatico. In Gramsci abbiamo indicazioni precise: oggi per esempio viviamo una condizione che fa pensare ‘al vecchio che muore mentre il nuovo fatica a nascere’, una situazione che per Gramsci genera mostri. E noi siamo circondati dai mostri, come vediamo per esempio nel degrado del dibattito politico".

In che direzione muove il pensiero di Gramsci calato nel presente?

"Tutto in Gramsci ha un’intenzionalità politica. In ogni sua riga, accanto alla conoscenza, c’è sempre la spinta a trasformare la realtà, nel senso di liberare gli oppressi dalle loro catene. In questo senso c’è una coerenza straordinaria in Gramsci, che comincia da ragazzo quando scrive quel famoso tema intitolato ‘Oppressi e oppressori’ e non verrà più meno a questo imperativo categorico che lui dà a sé stesso, cioè stare dalla parte degli oppressi, senza però cedere sui principi fondamentali. E iI primo di quei principi è, appunto, dire la verità. Il punto, a mio avviso, è che noi abbiamo con Gramsci un tesoro di concetti e strumenti per penetrare la modernità e non li stiamo usando. Non lo fa nemmeno la sinistra, al punto che poi arriva la destra, con Alessandro Giuli ora ministro, e se ne impadronisce".

Possiamo definirla un’appropriazione indebita?

"Sarebbe sciocco farlo. È anzi la conferma che Gramsci ha fornito degli strumenti utili per il presente. È come se avesse messo a disposizione un dizionario che ciascuno può consultare".

Qual è il futuro del suo pensiero?

"Io credo che un giorno si parlerà di gramscismo come ora si parla di marxismo, nel senso che sarebbe riduttivo parlare di Gramsci marxista. Certo, era marxista, ma lui si era abbeverato a molte fonti, dal pragmatismo americano all’intuizionismo e in generale prese fior da fiore dalle scienze umane e sociali del suo tempo, portando profondi elementi di novità al marxismo. Pensiamo al concetto di stato. Per Marx è lo strumento di una classe sociale, la borghesia, per esercitare il suo dominio su un’altra classe; per Gramsci è molto di più: è uno stato allargato, che interviene nell’economia, che produce cultura, che fa egemonia. E la rivoluzione, per lui, non è un atto, non è la conquista del potere come per i bolscevichi, ma un processo che deve passare attraverso la costruzione di una contro egemonia dal basso, da parte di quei gruppi sociali che Gramsci, anche qui innovando, chiama subalterni. E qui emerge la questione degli intellettuali organici, altra novità di Gramsci; organici, ovviamente, alla classe sociale, ai subalterni, non al partito, come spesso invece viene detto".

Quanto ha pesato nell’evoluzione del pensiero di Gramsci la sua biografia: la povertà, l’emigrazione, il carcere?

"Moltissimo. Gramsci, sia chiaro, non era un proletario: quando precipita nella miseria è per l’arresto e la detenzione del padre, accusato di peculato. Ma la sua è stata una vita di sofferenze. Era un disabile, era tormentato da feroci mal di testa, e trascorse buona parte della sua vita intellettuale da recluso. In carcere capisce presto che non sarebbe mai stato liberato e a quel punto la sua scrittura cambia. Non c’è più l’urgenza dell’intervento immediato, occorre invece una riflessione di più lungo periodo, destinata ai posteri. Ed è quello che fa".