
Una delle più classiche immagini da film Usa catastrofico sulla nuova glaciazione: questa è tratta da L’alba del giorno dopo, diretto nel 2004 da Roland Emmerich
Roma, 23 marzo 2025 – Andrea Segrè, agroeconomista, autore di trenta saggi e decine di articoli scientifici, divulgatore sui temi dello spreco alimentare. L’anno scorso si è lanciato nella fiction. Pensavamo fosse finita lì.
"Impossibile. Dal finale di Globesity, il mio primo romanzo, edito da Minerva, era evidente che la storia sarebbe continuata".
Era un “Food thriller".
"Raccontava le vicende di un giovane ricercatore alle prese con una pericolosissima organizzazione internazionale che attraverso il “glucone“, questa sostanza di loro invenzione, induceva nella popolazione mondiale lo stimolo della fame e quindi l’obesità…".
Com’è andata non lo spoileriamo. Ma in libreria, invece?
"Ci crede? Ho avuto più feedback su quel romanzo che con i trenta saggi scientifici precedenti".
Dunque perché non ritentare.
"Da pochi giorni,sempre per Minerva, è uscito Gelo profondo. Il protagonista è sempre Giorgio Pani, il giovane dottorando al centro delle vicende di Globesity che, scampato a quel pericolo, è diventato dottore di ricerca e si è rimesso di nuovo nei guai".
La dicitura stavolta è “Climate thriller".
"Una nuova organizzazione mondiale, subdola e potentissima, minaccia il mondo promettendo una una nuova glaciazione attraverso dei macchinari in grado di aspirare l’anidride carbonica dall’atmosfera, con il buon proposito, perlomeno iniziale, di ridurre il riscaldamento globale".
Ma è possibile nella realtà?
"Quello che scrivevo nelle note di Globesity, ribadisco con Gelo profondo. Ovvero: nel mio romanzo le persone sono di fantasia, i fatti verosimili, i luoghi reali, i dati verificati, le teorie possibili. Dunque quanto narrato potrebbe davvero succedere".
È come se Stephen King dicesse: guarda che “It" potrebbe esistere davvero. Incoraggiante.
"Nel mio caso però è diverso. Sono e resto un accademico. Sono abituato a ragionare per ipotesi e a verificarle sul campo. E al di là della fiction, e quindi del divertimento, i dati scientifici sono tutti reali. La mia è una speculazione narrativa su fatti concreti".
Dunque esiste la possibilità di catturare l’anidride carbonica dall’atmosfera per ridurre l’effetto serra?
"Ci sono diversi studi in materia e alcune startup che già stanno sperimentando la cosa. Non è il mio campo. Ma come nel precedente libro ho chiesto aiuto a colleghi docenti che si occupano degli ambiti descritti. Su questa base reale ho costruito il thriller".
Si è divertito?
"Molto, e soprattutto ho corretto il tiro".
Cioè?
"Dopo Globesity ho ricevuto molti commenti entusiasti e soprattutto tre critiche: troppo corto, pochissimi i morti – tutto sommato è un thriller – e zero sesso. Dunque ho rimediato".
Giorgio Pani, il protagonista, in effetti era un po’ ingenuotto.
"Ora è cresciuto. E anche in questo caso si confronta con i problemi della strada che ha scelto, ovvero la ricerca scientifica".
Anche quelli, purtroppo, molto reali...
"Come nel primo caso ho cercato di descrivere, in parallelo alla fiction e ai contenuti scientifici, anche il mondo universitario. Con tutte le difficoltà di chi comincia e i problemi dei giovani ricercatori di oggi. Il senso che spero passi è duplice: da un lato c’è l’altissima qualità della ricerca e delle nuove leve di ricercatori italiani, dall’altro c’è un sistema universitario costretto in regole limitanti, alla costante ricerca di fondi. E per i giovani ricercatori è molto difficile entrare in un sistema come quello universitario di per sé chiuso".
Anche in Gelo profondo, come in Globesity, c’è un risvolto oscuro della scienza. Ma è così?
"C’è un crinale stretto ogni volta in cui si lavora a una scoperta scientifica. Un bivio che si incontra sempre tra il bene e il male, ed è una scelta che i ricercatori hanno in mano ogni giorno. Prendiamo il caso in questione: una scoperta straordinaria: si può catturare l’anidride carbonica dall’atmosfera per ridurre l’effetto serra. Ma se ne catturi troppa inneschi una glaciazione… E poi ci sono i protagonisti: ricercatori che lavorano per il bene collettivo contro bieche organizzazioni di profitto che lavorano per creare bisogni e speculare sulle soluzioni".
Prof, occhio, così scade nel complottismo.
"È una provocazione, come con Globesity. I complottisti vedono organizzazioni internazionali e manipolazioni dappertutto. Io dico: bene, benissimo. Coltivare il dubbio è l’anima della scienza".
E la provocazione?
"C’è un complotto? Dimostriamolo. Analizziamo i dati, verifichiamoli, studiamo le carte, cerchiamo le fonti, lavoriamo per smascherarlo su basi scientifiche. Se invece accettiamo il complotto prendendo per buono l’assunto che la terra è piatta ma “non ce lo dicono“ siamo noi le vittime del complotto. Quello appunto della disinformazione e delle fake news".
Per divulgare tutto è utile, dunque? Anche un thriller.
"È la strada che sto tentando. Devo ammettere, con soddisfazione e buoni risultati".
Un unico dubbio: fare divulgazione, essere “pop“, per gli scienziati non è peccato mortale? "È un’antica querelle. Io personalmente credo che qualunque strumento utile a divulgare la conoscenza sia utile. Userei i social se ne avessi l’età. Ma mi è più consona la scrittura, perciò oltre ai saggi e agli articoli scientifici, ben vengano anche i thriller".