Roma, 9 novembre 2024 – Tra il palcoscenico e i camerini del teatro della Pergola, nel cuore di Firenze, si aggira un assassino temerario e spregiudicato. Ad assistere a Le feste d’Iside, affascinante dramma in musica, in sala c’è nientemeno che il Granduca Ferdinando III di Toscana: eppure, mentre in scena il soprano Teresa Bertinotti e il tenore Giovanni Ansani fanno a gara a chi “spara“ l’acuto più forte, dietro le quinte c’è chi semina morte. È Il teatro dei delitti, quello in cui ci accompagna Marcello Simoni con la nuova indagine di Vitale Federici (Newton Compton): nel suo 31° libro, lo scrittore ferrarese, già archeologo e bibliotecario, maestro del thriller storico – oltre un milione e mezzo di copie vendute, traduzioni in venti Paesi – mette in pausa il Medioevo del Mercante di libri maledetti per trasportarci alla fine del ‘700. Sempre con nuovi misteri.
Simoni, le è piaciuto fare un salto temporale?
"È un po’ come andare in vacanza. Il ‘700 ha uno spirito molto diverso dai secoli medievali, e il cambiamento di ottica e di prospettiva mi aiuta a mettere a fuoco meglio tutti gli obiettivi della mia narrativa. Oltretutto l’età moderna mi consente di portare in scena elementi che non potrei descrivere nel Medioevo: le armi da fuoco, i meccanismi del teatro, l’orologeria...".
Come nasce un thriller storico?
"Prima di tutto con un minuzioso lavoro di documentazione. Per costruire una trama gialla, serve un’attenzione scrupolosa ai dettagli: i romanzi di Arthur Conan Doyle, per esempio, ci insegnano che spesso sono proprio i piccoli oggetti, quelli all’apparenza più insignificanti, a dare una svolta ai misteri più fitti. Eppure nei libri di storia si parla solo dei grandi eventi, e mai delle piccole cose: com’era l’arredamento di una casa nel ‘700? E com’era fatta una cassaforte, come si apriva? Come si abbottonava un abito? Il quotidiano è la parte della storia che conserva più misteri".
Lei ha definito i suoi romanzi come “gialli confortevoli“. In che senso?
"Quando scrivo, mi piace attingere alle suggestioni che ricevevo da bambino quando mi leggevano una favola. Infatti la fiaba è una narrazione che incuriosisce i più piccoli, un po’ li spaventa e un po’ li conforta: una volta chiuso il libro, quella resta una finzione. Ecco, io vorrei che il lettore dei miei libri potesse tornare a essere quel bambino che da piccolo leggeva le favole. Le ambientazioni e le situazioni possono essere terribili ma ci deve essere sempre una nota disincantata, un pizzico di humour, un elemento cosy, dicono gli inglesi: in questo aiuta anche la presenza di un assistente dell’investigatore".
Come Bernardo della Vipera, il “Watson” di Vitale Federici?
"Già: spesso è molto utile vedere i grandi detective attraverso gli occhi dei loro amici e discepoli. Sherlock Holmes sarebbe molto antipatico, se non lo guardassimo “attraverso“ Watson. E Batman è un personaggio molto cupo, scontroso e controverso, ma la presenza di Robin aiuta a renderlo più affascinante e “vicino“ al lettore".
Lei è autore di diversi cicli di romanzi, Secretum Saga, Codice Millenarius Saga... Perché ha scelto di scrivere per saghe?
"La saga consente di aprire molto di più le trame e di approfondire meglio l’evoluzione dei personaggi. Se un romanzo non si conclude in se stesso, ma prosegue con gli stessi personaggi in altre vicende, diventa più appassionante. In fondo le saghe ti fanno sentire come un grande architetto che prima progetta e costruisce il piano terra di un palazzo, poi via via lo va rialzando e completando".
E qual è il personaggio letterario migliore?
"Quello più imperfetto, perché più simile a tutti gli esseri umani. Noi tutti siamo pieni di difetti, di imperfezioni, di rimorsi e di desideri. Proviamo a migliorare, non sempre ci riusciamo".
Ogni scrittore è anche un lettore. Quali sono le sue letture amate?
"Spazio molto fra i generi, amo il francese Jean Christophe Grangé, non disdegno Tolkien, e soprattutto la sua traduzione di Beowulf, col sapore di un’Odissea nordica, Fred Vargas e Glenn Cooper che è anche un grande amico. Ultimamente ho letto un bel romanzo di Joan Samson".