Giovedì 14 Novembre 2024
RITA BARTOLOMEI
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Leo Nucci, il Rigoletto più grande: "La voce non basta, bisogna soffrire"

Il baritono, 75 anni di vita e 50 di carriera. "In pensione? Chissà"

Il baritono Leo Nucci

Il baritono Leo Nucci

Castiglione dei Pepoli (Bologna), 14 aprile 2017 - MAESTRO, finora nessuno l’ha rottamata.

Sorride, un lampo negli occhi: "L’altra sera per il concerto a Modena c’era una folla di cinesi. Un ragazzo mi ha avvicinato, non posso andare a vedere il Rigoletto senza di lei". Fa una pausa, riprende: "La soddisfazione più grande me l’hanno data il pubblico e i miei ex colleghi. È stato qualche giorno fa. Per favore finisci così, mi hanno chiesto. Facci arrabbiare perché non canti più ma non farci pensare, perché non ha smesso".

Leo Nucci, il più grande Rigoletto al mondo. Il baritono antidivo che riempie i teatri – "uno dei pochi" –, in Cina è quasi venerato come Mao. Mezzo secolo di carriera, domenica compie 75 anni. Rilassato, nella casa natale di Castiglione dei Pepoli, sull’Appennino bolognese. Scherza in dialetto. Con lui la moglie Adriana Anelli, soprano. Al piano terra il babbo Gigi aveva la bottega da fabbro. Una grande terrazza si affaccia sulla vallata, una sera mamma Lalla lo spronò, vai via. I ritratti di famiglia sul camino dei Seicento. Le foto di una carriera lunga una vita, la bici da corsa.

Non starà pensando di andare in pensione?

"Stando alle logiche della vita, avrei già dovuto smettere dieci anni fa. In realtà mi sento in una forma incredibile. Non ho nessuna paura di andare in pensione, ci è andato anche il Papa. Ci sto pensando veramente. So che continuerò a far musica, a 70 anni mi sono messo a studiare il violoncello. E continuerò a seguire i giovani. Se per caso mi saltasse in mente di venire a Castiglione tre mesi all’anno e di aprire una scuola, si vedrebbe una fila di cinesi lunga così...".

Domingo ha un anno in più di lei.

"Stiamo bene insieme, siamo due pazzi. L’altro giorno ci siamo visti a Vienna, ci siamo abbracciati. Mi ha detto, oh siamo gli unici che non cancellano. Per forza, gli ho risposto, noi due messi insieme facciamo l’età della storia dell’opera".

La spaventa?

"Mi spaventa non prendere la decisione di ritirarsi al momento giusto. L’attrazione del palcoscenico è talmente grande. Ho impegni fino al 2020. Credo che smetterò prima. Non voglio fare sceneggiate. Prenderò il telefono e dirò basta. Non devono esserci strascichi". La moglie Adriana: "I concerti d’addio, per carità".

Nucci non bari, tutto è cominciato al Comunale di Bologna nel ’66, fanno 51.

"Vero, la prima scrittura sì, ma io conto gli anni da solista. Spoleto, era il 10 settembre del ’67".

Lei, il Rigoletto più acclamato al mondo.

"Le recite ufficiali dell’opera sono più di 600, ma metto in conto solo quelle che mi hanno pagato. In tutto, più di 3mila volte in scena in 72 ruoli da cartellone".

Il Nabucco a 51 anni.

"Non volevo farlo prima. A 75? Voglio capire i personaggi. Quando vado sul palco, mi si perdoni la vanità, vorrei interpretare la vita. Un ragazzo che deve debuttare in Rigoletto mi ha chiesto consigli. Eccoli: non cantare pensando alla voce ma soffrire come soffrirebbe lui. E questo è molto difficile".

Il libro dei ricordi.

"Lo sto scrivendo, in terza persona. Ci sono già due editori che lo vorrebbero pubblicare, ho chiesto a entrambi: avete dei buoni avvocati?".

Quindi attacca qualcuno che conta?

"Parlo di falsità che si dicono. Questa storia della filologia sbandierata da trent’anni. Allora perché non si fanno le opere con 44 strumenti come ha scritto Verdi ma con 80? Perché a tutti i direttori d’orchestra fa più comodo suonare così, è un altro effetto, fanno più bella figura".

Scontri epici con certi registi.

"La regia la fa il compositore. Dà pause, colori, altezze di suoni. Invece c’è chi ha il paraocchi, tutto è nazista e si deve svolgere dal ’20 al ’43. Con la Cavani abbiamo rifatto la “Traviata” alla Scala, è stato un trionfo. Liliana, un’amica, più di sinistra non so chi ci sia. Sul palcoscenico ha detto, ma questo è Verdi, io devo rispettare le sue idee".

Evviva.

"Ecco la filologia, cercare di capire dove voleva arrivare l’autore. Molti registi mi rispettano. Chi convinco di più? I ragazzi, il pubblico. Chi è giovane deve capire che quando si fa questo lavoro c’è bisogno di cultura. Servono studio e dedizione".

Di sé dice: non sono un cantante famoso, sono celebre.

"Giro per la strada tranquillo, nessuno mi conosce. Se passa il mio amico Andrea Bocelli si fermano tutti".

La palestra più importante è quella della della provincia?

"Si giocava a carte coperte. I primi anni con Marchesi ho fatto solo vocalizzi. Poi ho iniziato un repertorio, prima leggero poi sempre più pesante".

Come un atleta.

"Mi sono comportato così tutta la vita. Non sono andato in bicicletta solo per il piacere. Questo mestiere è fatto di tanta disciplina".

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