di Elisa Guzzo Vaccarino VENEZIA Non è la solita storia di Cenerentola, perché quella di Twyla Tharp, nipote di quaccheri, da cameriera nel cinema drive-in della sua famiglia in California, a coreografa-star di Hollywood e Broadway, è l’epopea di una ragazza agile, sguardo fiero e caschetto nero – oggi bianco – che non teme di mirare in alto sicura delle sue capacità, senza bisogno del Principe Azzurro a fianco.
Ispida, “di cattivo carattere”, ha accettato di buon grado di ricevere il Leone d’oro della Biennale di Venezia, che il direttore Wayne McGregor le consegnerà durante il Festival 2025, andando ad allungare la lista degli autori postmodern premiati, come inventori a contropelo, che hanno fatto la differenza negli Stati Uniti e qui.
Nata nel 1941 a Portland, nell’Indiana, Twyla Tharp è un talento onnivoro, americanissimo, tra glamour ed entertainment, tra musical e balletto, vincendo premi Emmy e Tony e agendo nel cuore del business culturale a New York.
A certi occhi superciliosi europei, pronti ai distinguo, un percorso come quello eclettico della Tharp è risultato talvolta anomalo. A certa critica americana alcune sue sfide come una nuova versione di Singin’ in the Rain le hanno procurato critiche sfavorevoli, ma Twyla Tharp non è condizionabile più di tanto dal giudizio altrui.
Rifiutando ogni expertise di mediazione,infatti, ha preferito scrivere lei stessa la sua autobiografia, Push comes to shove, i nodi vengono al pettine, e altri testi “di istruzioni” di vita, come Keep it Moving: Lessons for the Rest of Your Life e The Creative Habit: Learn and Use It for Life.
Con un diploma in Storia dell’arte al Barnard College e con studi musicali, di violino, e di danza, all’American Ballet School, presso Martha Graham, Merce Cunningham e Alwin Nikolais, oltre che con i capofila Luigi e Matt Mattox per la jazz dance, come interprete versatile a tutto campo, si era fatta notare spiccando nella dinamica Paul Taylor Dance Company, fucina di ballo atletico, prima di formare il suo gruppo nel 1965. Come autrice, ha saputo fare di tutto, innervando anche il pop e il rock con il suo tocco sofisticato.
Mikhail Baryshnikov, l’ultimo vero grande Divo del balletto, una volta emigrato in America, avido di conoscere, capire, provare, ha voluto Twyla, che sa come dosare il suo virtuosismo perfetto per nuove avventure, accanto a sé ripetutamente. I Nine Sinatra Songs in cui Micha è uno sciupafemmine sulle canzoni di “The Voice”, è un inno alla danza, al canto, alla gioia; il solo Pergolesi per il Baryshnikov maturo è un magnifico ritratto della sua leggerezza inarrivabile. Dal tip tap al neoclassico, dal film Hair di Milos Forman, alla moda (Norma Kamali) alla tv, Twyla tra Bach e Jelly Roll Morton e David Byrne è un ciclone di attività al top.
Adesso, la Twyla Tharp Dance, il 17 e 18 luglio a Venezia, porterà Diabelli, pezzo forte del suo repertorio datato 1998 sulle 33 variazioni beethoveniane, e Slacktide, novità su Aguas da Amazonia di Philip Glass, a cui la super-coreografa è legata da un lungo sodalizio.
E speriamo che in Italia, magari alla Scala o all’Opera di Roma, arrivi un capolavoro della Tharp, In the Upper Room, proprio sulla musica di Phil, con i suoi costumi bianchi e rossi e a righe, in sneakers e scarpette da punta scarlatte, che mixa naturalmente balletto e urban dance, con dinamica implacabile: un godimento.