Giovedì 21 Novembre 2024
ROBERTO GIARDINA
Magazine

Le vacanze patriottiche tra guerra e Covid

La Germania in allerta per il virus ricorda le estati degli anni ’40: sacrifici e soldati in licenza. Anche oggi il trend è accontentarsi

Tre soldati tedeschi fra i bagnanti al lago di Wannsee

Tre soldati tedeschi fra i bagnanti al lago di Wannsee

Difficili le vacanze quest’anno, a causa del virus. I tedeschi preferiscono restare a casa, si va sulle spiagge del Baltico invece che sull’Adriatico, o nella Foresta Nera. Oppure ci si accontenta di una gita su uno dei mille laghi e laghetti che circondano Berlino. E sui giornali si ricordano altre estati, quella del 1940, la prima in guerra, o quella del ’45, con le città in macerie, dopo la sconfitta. Andavano in vacanza anche i soldati. Lo storico Christian Packheiser pubblica Heimaturlaub, vacanze in patria, ma Heimat, è il luogo dove ci si sente a casa, dove si è cresciuti, e ci siamo innamorati per la prima volta.

Il regime nazista si preoccupava che almeno due o tre volte all’anno, magari anche quattro, almeno per una ventina di giorni, i soldati lasciassero il fronte per andare in licenza. I 18 milioni di combattenti potevano portare un bagaglio ridotto, una sacca da poter sistemare sotto il sedile in treno. Per un confronto, solo il dieci per cento dei combattenti russi otteneva una breve licenza. I britannici di rado riuscivano a rivedere i famigliari per qualche giorno. I gerarchi nazisti erano giovani, molti i reduci, come Hitler che aveva combattuto a Verdun, e volevano evitare gli errori della Grande Guerra. Le famiglie, senza il salario del marito e padre che indossava la divisa, soffrivano la fame. Le vedove e gli orfani finivano in miseria. Nel ’40, le licenze servivano a mantenere alto il morale a casa e al fronte.

Una foto mostra tre soldati in divisa aggirarsi tra la folla di bagnanti allo stabilimento sul Wannsee, il lago a pochi chilometri dalla capitale, che esiste tuttora. Sulla riva opposta, non lontano, si scorge la villa dell’industriale Friedrich Minoux. Gli è stata appena confiscata da Reinhard Heydrich, e nel febbraio del ’42 ospiterà la conferenza per la soluzione finale. Ma già il 14 giugno sono arrivati i primi deportati a Auschwitz. Al cinema si proietta Jud Süß, il film antisemita di Veith Harlan, il viscido ebreo insidia la bionda Kristina Söderbaum, la diva svedese che piace al Führer.

Pochi dubitano della vittoria. Il 22 giugno, Hitler è andato a passeggio sotto l’Arco di Trionfo, la Francia è occupata. Il 10, Mussolini si era affrettato a entrare in guerra per non giungere in ritardo all’imminente vittoria. La radio trasmette di continuo la canzone Adesso arriva il bello: “Inghilterra, Inghilterra, la tua fine è già segnata“.

Gli italiani preferiscono cantare Baciami piccina e Ciccio Formaggio. Esce Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, i nemici non arriveranno mai sotto le mura della fortezza, gli alleati sbarcheranno in Sicilia fra tre anni, in estate. Al cinema si proietta Una romantica avventura di Mario Camerini, e Rose scarlatte con Vittorio De Sica. Lale Andersen canta Lili Marlene, ma le canzoni del ’40 in Germania non dimenticano l’Italia: Wenn in Florenz die Rosen blühn, quando fioriscono le rose a Firenze, e Frühling in Sorrent, primavera a Sorrento. Fausto Coppi vince il Giro, l’Ambrosiana Inter lo scudetto.

Churchill promette agli inglesi “lacrime e sangue”. Quanto resisterà la Gran Bretagna? Sulla copertina del settimanale Die Woche appare un’aquila con gli artigli protesi su Londra. È cominciata la battaglia nei cieli d’Inghilterra, forse prima dell’autunno si potrà sbarcare sull’isola, se gli inglesi non si arrenderanno prima. Alle famiglie non manca nulla, nessuno soffre la fame. I soldati al fronte possono mandare pacchi a casa, con delikatessen, formaggi francesi e salsicce, merletti e biancheria di seta. In una lettera, il giovane Heinrich Böll, il futuro premio Nobel, che si trova in Belgio, annuncia di aver spedito birra e uova: arriveranno fresche, a Colonia. Il 23 luglio, Hitler appassionato di Wagner va a Bayreuth, il Festival si apre con Il Crepuscolo degli Dei. Un presagio?