“Simone Weil, una donna assoluta” era il titolo di un vecchio saggio di Gabriella Fiori, scritto in francese nel 1987 e tradotto in italiano per l’editore La Tartaruga dalla stessa autrice, la quale avvertiva in una breve premessa: "Simone Weil non può essere oggetto di studio: troppo viva, troppo eternamente giovane e violenta per questo". Si può però dialogare con lei, sosteneva Fiori, meditare i suoi scritti, "leggerli e rileggerli" con la certezza che dal corpo a corpo "non si esce indenni". Dev’essere per questo, per l’intensità della vita e dell’opera che Simone Weil, a oltre ottant’anni ormai dalla sua morte (a Londra nel 1943, a 34 anni di età) continua a essere pubblicata, a stimolare riflessioni e proposte – appunto – di lettura e rilettura, pur nell’impossibilità di collocarla in un quadro definito, in una casella politica o filosofica precisa.
Simone Weil è stata una pensatrice così originale, così inattuale nei suoi pochi anni di attività intellettuale, da essere ancora una contemporanea. Uno dei tanti libri che la riguardano e che sono in uscita o da poco pubblicati – più di venti fra quelli editi nel 2024 e quelli annunciati per il ‘25 – si intitola Dieci idee per domani (Futura editrice, a cura di Stefano Oliva e Roberto Paura), e coglie il tratto profetico della filosofa e attivista francese, sia sul versante sociale e politico, per il quale è più conosciuta, sia su quello mistico-religioso, non meno importante. Oliva e Paura fanno notare la modernità – l’attualità – delle osservazioni di Weil sull’alienazione nel lavoro (sperimentata in prima persona dalla filosofa alla catena di montaggio della Renault, in un sofferto periodo di esperienza diretta in fabbrica), sui rischi del “macchinismo”, sulla centralità della bellezza e del valore in sé delle cose rispetto a ciò che è utile. E la nozione di “decreazione” ripresa dalla tradizione ebraica, con il ritrarsi del Creatore, quindi dell’io, per lasciare spazio all’altro, forse prefigura un’attitudine generale buona per il futuro, in tempi come i nostri segnati dall’angoscia per il collasso climatico, causato dalla prepotente invadenza della specie umana a scapito del resto dei viventi.
Insomma, aveva ragione Gabriella Fiori a dire che l’amore di Simone Weil per il mondo "è un amore fecondo, di donna, un eros possente che si scava il proprio cammino fra i labirinti della nostra civiltà industriale e restituisce loro vita tramite una visione nuova dell’intelligenza".
Un esempio di quanto possa essere fecondo l’incontro con Simone Weil è offerto dall’editore Wudz, che ha inaugurato con un libro della filosofa, La forza delle parole, la sua nuova collana “Attraverso lo specchio”, pensata per mettere a confronto grandi pensatori e pensatrici del passato con artiste e artisti del presente. La forza delle parole – che raccoglie l’omonimo saggio del 1937 e altri due interventi, La persona e il sacro e I bisogni dell’anima – ha così una prefazione firmata La Rappresentante di Lista, il duo canoro formato da Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, i quali dialogano fra loro e col testo di Weil. "Credo", riflette lui, "che le parole sorprendenti siano quelle giuste, ora che le parole giuste non ci sorprendono, non ci muovono"; "le parole buone e amorevoli", afferma lei, "sono una casa e un rifugio per chi non vuole concludere il proprio viaggio, per chi continua a errare, a cercare un senso in tutti gli universi possibili".
Cercare un senso nella vita e lottare contro l’ingiustizia erano in fondo i poli del pensiero e dell’azione di Simone Weil, che nel saggio sulla forza delle parole sviluppa un discorso sorprendente, invitando – proprio lei, così estrema, così irruenta – a non scrivere le parole con la lettera maiuscola, a non dare un valore assoluto ai concetti, ai vocaboli più frequenti nel lessico pubblico del suo tempo: "Nazione, sicurezza, capitalismo, comunismo, fascismo, ordine, autorità, proprietà, democrazia". Queste nozioni, dice Weil, sono "miti e mostri" dell’universo politico e nella loro astrattezza e imprecisione spingono allo scontro, quindi alla guerra, che Simone aveva imparato a detestare in Spagna nel ‘36 combattendo nelle brigate internazionali.
Il suo è un invito a calarsi nella realtà, a misurare ogni concetto – democrazia, sicurezza, fascismo, comunismo eccetera – tenendo conto della sua complessità, delle diverse sfaccettature, utilizzando quindi espressioni come "c’è democrazia nella misura in cui... o anche c’è capitalismo nella misura in cui…" Scrive ancora Weil: "Chiarire le nozioni, screditare le parole intrinsecamente prive di significato e definire l’uso delle altre attraverso un’analisi precisa – ecco un compito che, per quanto strano possa sembrare, potrebbe salvare delle vite umane". Parole che suonano familiari anche nel nostro tempo, segnato dalla violenza (non solo) verbale e dalle fake news, e sono forse le considerazioni che hanno indotto La Rappresentante di Lista a chiudere il suo testo invocando "un’alternativa: una parola libera, mai più cattiva".