Giovedì 10 Ottobre 2024
DIEGO VINCENTI
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Giulia Lazzarini: "Io, una bambina sotto le bombe"

La grande signora del teatro, 90 anni, torna sul palco da martedì a Milano con “Gorla fermata Gorla“: 1944, il massacro di 184 piccoli rifugiati in cantina

Lazzarini: "Io, una bambina sotto le bombe"

Giulia Lazzarini, 90 anni, da martedì 15 al 20 in scena con Gorla fermata Gorla

Roma, 12 ottobre 2024 – Novant’anni. D’accordo: è indelicato partire dall’età anagrafica. Specie quando si parla di un’attrice. Ma certo il dato crea un certo stupore considerando che Giulia Lazzarini è sempre lì, sul palco. E non ha nessuna intenzione di scendere. Sarà che dentro di lei è rimasta un po’ di magia dell’Ariel strehleriana. O forse ad interpretare Winnie di Giorni felici, deve essersi imbattuta in qualche misterioso segreto legato all’esistenza. Chissà. Intanto dal 15 al 20 ottobre è di nuovo a Milano, al Piccolo Teatro Studio, per Gorla fermata Gorla, struggente produzione del Cooperativa di Niguarda, scritta e diretta da Renato Sarti. Con lei in scena Federica Fabiani e Marta Marangoni. Per una delle pagine più buie del 1944: la bomba alleata che cadde sulla scuola del quartiere milanese, uccidendo 184 bambini rifugiati in cantina.

Lazzarini, qual è il suo segreto?

"Mi regolo. So di non essere una ragazzina, non posso fare tutto. Quindi capisco come dosare le energie. E poi c’è la gioia".

L’emozione del palco?

"Quella sempre ma uno impara a controllarla, non puoi farti travolgere se vuoi costruire del buon teatro. E anche l’adrenalina dell’applauso si ripete nel tempo. La gioia invece è qualcosa che passa dalle scelte che compi, il decidere di lavorare su progetti di senso che non riguardano soltanto te ma anche gli altri. Dove condividi un racconto che senti necessario".

Gorla fermata Gorla va in questa direzione.

"Una pagina attuale e dolorosissima, che parla della stupidità della guerra e ci ricorda cosa è successo a Milano. Sono stata felice quando gli amici del Teatro della Cooperativa me l’hanno proposto. E il testo di Renato Sarti racconta con grande precisione l’episodio, la tragedia, le folli ragioni".

Lei all’epoca aveva dieci anni, che bambina era?

"Abitavo in via Pacini, andavo a scuola dalle suore in zona Piola e poi in Andrea Doria. Giocavamo per strada ma era impossibile essere felici. Io poi ero molto impaurita. Stavamo al sesto piano, appena suonava l’allarme lanciavo il mio cappottino nella tromba delle scale perché non mi fosse d’impaccio e correvo con una velocità che non ho più avuto. Arrivata al rifugio me ne stavo lì a guardare in alto, nell’attesa di vedere i miei genitori. Vivevamo con la consapevolezza che qualsiasi cosa potesse succedere da un momento all’altro".

Quando scoprì il teatro?

"Sempre a scuola. Piccole cose ma mi dicevano tutti che avrei fatto l’attrice. E a un certo punto mi sono accorta che l’idea mi piaceva. A 17 anni mollai il ginnasio e mi trasferii a Roma per frequentare il Centro Sperimentale. Recitare era diventata una necessità".

Il Piccolo?

"Nel 1954 tornai a casa, ero convinta di voler fare teatro e il cinema non mi convinceva. Strehler stava formando il cast per il suo primo Cechov, pensava a me per Anja nel Giardino. Andò diversamente ma in compenso mi ritrovai in mano il Piccolo. Spettacoli straordinari che alternavo ai lavori in tv e alla radio, strumento che permise a tantissimi italiani di entrare per la prima volta in contatto con i grandi testi grazie alle compagnie di prosa. Ogni città aveva la sua. Peccato che nessuno ne parli". Ariel o Winnie?

"Non posso scegliere, entrambe mi hanno fatta soffrire così tanto!".

Ne La tempesta stava sempre in volo.

"Appunto. Venivo calata dall’alto, poi di nuovo su, era qualcosa di diabolico. Sentivo la chiamata in scena, scavalcavo la passerella e mi lanciavo di sotto da un’altezza vertiginosa, circondata da migliaia di riflettori, mi sembrava di andare a fuoco. Con Strehler che osservava ogni dettaglio. L’ho fatto tutto intero il giorno della prima, mi sembrava un sogno".

Giorni felici era l’opposto.

"Sottopalco, senz’aria, atmosfera claustrofobica. Prima fuori per metà dalla montagnola, poi solo la testa. Perdevo il senso dell’orientamento. Ma col tempo entrambe divennero una parte di me. Nonostante non mi vedessi appropriata, avevo la sensazione di avere vinto io sul testo. Sono momenti che riempiono una vita".

Cosa avrebbe fatto se non ci fosse stato il teatro?

"Non avevo alternative. Mi sarei inventata qualcosa ma sempre in un contesto di gruppo, collettivo, presente ma esterna a me stessa".

Le piace vivere il momento.

"Lo devi vivere, tenendo a bada le emozioni senza soffocarle, disciplinandoti, con la consapevolezza di non potere rifare nulla. È quello il bello sa? Ogni volta il pensiero che non posso fuggire".