Giovedì 26 Settembre 2024
MAURO BASSINI
Magazine

L’avventura di un “gastronauta“ Il cibo come cultura dei popoli

Il nuovo libro di Davide Paolini: un viaggio di scoperte, fra grandi ristoranti e la semplicità della tradizione

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di Mauro Bassini

Non è facile vivere ai tempi del Covid per chi è abituato a prendere un aereo a settimana e improvvisamente si ritrova pendolare tra il divano e la camera da letto. Davide Paolini è un romagnolo di grandi passioni e grandi numeri. Da quasi quarant’anni firma A me mi piace, una splendida rubrica per ghiottoni sul Sole 24 Ore. È una delle poche voci serie e autorevoli del giornalismo gastronomico italiano, infestato da roboanti nullità e da venditori seriali di pubblicità spacciate per informazioni. Da decenni Paolini viaggia in tutti i continenti per raccontare emozioni e scoperte legate al cibo. Viaggia tanto.

Il cibo sa spiegare la gente, le tradizioni, la storia. Insegna il dovere di difendere la biodiversità, di tutelare le coltivazioni e gli allevamenti compatibili con la nostra salute e con quella del pianeta. Paolini ne ha fatto una battaglia. Una vita da gastronauta, per usare un termine da lui creato.

Ne è uscito un libro ricco e avvincente – Confesso che ho mangiato, Giunti editore – che ogni appassionato di buona tavola vorrebbe poter scrivere. Non è un libro di cucina ma di scoperte, vicine o lontanissime. Le ostriche di Cancale raccontano il mare e il paesaggio della Bretagna meglio di una visita guidata o di un romanzo di Simenon. Conosciamo tutto delle stagionature del parmigiano reggiano, ma poco o nulla del canestrato di Moliterno, uno straordinario formaggio lucano che nasce dal latte di pecore e capre. Non immaginiamo come la scelta del legno (faggio, castagno, quercia) cambi meravigliosamente gli aromi di un salmone affumicato canadese.

Da Parigi alla Cina, dal Canada all’Australia, il racconto di Paolini è una collezione di sorprese. Grandi ristoranti, cuochi celebri e star internazionali spuntano in incontri indimenticabili. Il grande innovatore Fredy Girardet, l’estroso inglese Marco Pierre White, e Paul Bocuse che copiò dall’italianissimo Sirio Maccioni una leggendaria creme brulée. Ma anche Woody Allen, bloccato all’ingresso di Le Cirque a New York perché non aveva la cravatta. O Manuel Vazquez Montalban, padre del detective gastronomo Pepe Carvalho, che in un ristorante di Barcellona, tra un rognone al curry e uno Chablis, regala belle chiacchiere a Paolini: "Cucinare è una metafora della cultura".

Il lungo viaggio di Paolini parte dall’infanzia e dai suoi sapori (il pranzo della domenica, gli odori del brodo, del sedano, del ragù) per arrivare alla cucina che dovremmo sempre cercare oggi: quella della semplicità, del rispetto, della ricchezza di materie prime e della loro sincerità. I nemici del “gastronauta“ sono ancora gli stessi: le mode, le chiacchiere e l’assurdo barnum della cucina-spettacolo in un Paese in cui chiudono 10mila ristoranti all’anno e tante famiglie stringono la cinghia.