Sabato 5 Ottobre 2024
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L’arte di essere Orso: ho 80 anni e non smetto

Guerrini si racconta, fra cinema, teatro e tv. "La famiglia nobile, i successi e i grandi amori. Rimpianti? Essere stato scartato da De Sica"

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di Giovanni

Bogani

"Ottant’anni? Sono arrivati in fretta, quasi di sorpresa. Mi pare impossibile di essere già arrivato qui, ma ne prendo atto. E so che è un privilegio non da poco, che non a tutti tocca". Orso Maria Guerrini i suoi ottant’anni, compiuti lo scorso 25 ottobre, li festeggia così. Con gratitudine, con un po’ di stupore, e lavorando. "Sono sul set di un lavoro del quale ancora non posso parlare. Non ho avuto tempo per festeggiare, e in fondo è meglio così". Una carriera divisa fra il teatro, la televisione, il cinema. E anche la pubblicità, con quei sedici anni nei quali è stato per tutti, anche per gli spettatori più distratti, il “baffo“ della birra Moretti. "È stata un’esperienza piacevole anche quella. E mi dicono che anche le vendite della birra ne abbiano beneficiato…"

Guerrini, a ottant’anni è inevitabile guardare alla propria carriera. Come la vede?

"Ho fatto il minimo. Sono onesto, potevo fare di più. Se avessi avuto meno difetti".

A quali difetti pensa?

"Difetti di carattere, di atteggiamento verso il lavoro. Mi ci sono dedicato, ma non totalmente. Il nostro è un mestiere che vuole una dedizione totale. Io non ho mai vissuto solo per lavorare".

Lei viene da una famiglia dell’aristocrazia toscana. Discendente di cavalieri e guerrieri...

"Eh, ho avuto tre Cavalieri di Malta in famiglia! Mio padre era ufficiale. Io a tre anni giocavo con le bombe a mano sotto il tavolo della cucina: a mia madre venne un infarto…"

Anche il nome, Orso, fa una certa impressione.

"Sì: può essere impegnativo: per fortuna già a quindici anni ero un metro e ottanta, fisicamente possente. Quindi i compagni non ci scherzavano troppo".

L’università a Firenze. Poi Roma, e l’incontro col cinema. è andata così?

"Sì. Ho vissuto all’inizio degli anni Sessanta le prime occupazioni, molti anni prima del 1968. Poi vinsi una borsa di studio al Centro sperimentale di cinematografia. E subito dopo il diploma riuscii a farmi fare il provino per lo sceneggiato che ha cambiato la mia vita".

E le stelle stanno a guardare.

"Esatto. Avevo ventisette anni, riuscii a iscrivermi a un provino insieme ad altri duecento. Fui l’ultimo a presentarmi ad Anton Giulio Majano, il regista. E lui scelse me. Pochi mesi dopo, a settembre, sentii la mia voce aleggiare dalle finestre di tutta Roma. Facemmo venti milioni di spettatori di ascolto".

Da allora, molti altri sceneggiati, quaranta spettacoli a teatro, tanto cinema. E anche alcuni amori celebri: come quello con Catherine Spaak.

"Siamo stati insieme un paio d’anni. Donna meravigliosa, di grande personalità. Non ho mai avuto problemi nel rimanere un passo indietro, nell’essere quello meno famoso".

Anche Liza Minnelli subì il suo fascino…

"Era esuberante, impetuosa, istintiva. È stata una grande amica. Ci conoscemmo sul set di Nina, l’ultimo film diretto da suo padre, Vincente Minnelli, e poi non ci siamo mai persi di vista".

Sedici anni di pubblicità: una benedizione o una condanna?

"Economicamente una benedizione, non lo nego. Poi è vero che molti registi non ti chiamano perché sei conosciuto per quella cosa lì. Ne ho sofferto. Ma non si può avere tutto".

Ha rimpianti?

"Artisticamente non credo di aver dato il meglio. Rimpianti, però, solo uno: feci il provino per Il giardino dei Finzi Contini davanti a Vittorio De Sica. Per esigenze televisive – la tv era in bianco e nero – mi avevano fatto tingere i capelli di rosso ‘pel di carota’. Ero ridicolo, e per quel ruolo Fabio Testi mi stracciò. Magari senza quei capelli me la sarei potuta giocare".

Ha anche interpretato The Bourne Identity, però, poi… Non è andata malissimo.

"Ho fatto una piccola partecipazione. Più bello è stato l’ultimo ruolo in un film internazionale, ne Il peccato. Il furore di Michelangelo diretto da Andrej Konchalovsky. Abbiamo girato fra le cave di marmo delle Alpi Apuane, lì dove Michelangelo cercava il ‘suo’ marmo. Io sono il marchese Malaspina, in un film che riesce a ricreare l’atmosfera che uno immagina si vivesse in quel secolo. Un miracolo".

E adesso?

"E adesso si va avanti. Per fortuna non sono solo: mia moglie Cristina è eccezionale. Siamo sposati dal 2011, ed è il miglior film che ho fatto".